Fuga dal comunismo: Una riflessione con Black the Fall. #clubcultura #videogiochi


ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (Dal vangelo secondo Luca, 1:52)

Un videogioco è solo divertimento? Non può essere cultura “alta”, con contenuti educativi e perfino spirituali? Per smentire questo luogo comune, proseguiamo la nostra serie di consigli videoludici per unire il didattico al dilettevole.

Nel dicembre del 1989, il #comunismo in #Romania finì con una grande sollevazione popolare e uno schianto improvviso: il 16 cominciavano le manifestazioni e il giorno di Natale, dettaglio ulteriormente tragico e quasi simbolico, Ceausescu veniva fucilato. Agli storici il compito di studiare cosa sia successo in quei pochi giorni e perché; a chi vuole farne un’esperienza come dire meno libresca, si offre una interessante alternativa.

Black the Fall, uscito nel 2017, è un videogioco di genere “piattaforma”, quei giochi in cui il protagonista deve continuamente spostarsi da un ambiente all’altro risolvendo dei puzzle (es. per aprire quella porta mi serve quell’oggetto, che sta su quella piattaforma, che posso avvicinare azionando quella leva, che…); sono giochi che richiedono una costante combinazione di buoni riflessi, pronta intuizione, ferreo ragionamento. Ginnastica per il cervello. Nel nostro caso, l’ambiente da cui vuole spostarsi il protagonista ha una identità chiaramente riconoscibile:

Lenin diceva che il comunismo è i soviet più l’elettrificazione del paese. In questa versione videoludica, la Romania falce e martello è andata ben oltre l’elettrificazione: ci sono giganteschi robot (“mecha” in gergo nerd) che polverizzano all’istante qualsiasi “nemico del popolo”; ci sono telecamere rosse onnipresenti che monitorano quasi tutto, e noi dovremo scivolare tra gli interstizi di quel quasi; ci sono migliaia di biciclette su cui gli operai devono pedalare ininterrottamente per sostenere la suddetta elettrificazione del paese:

questa cosa l’avevo già vista in un episodio di Black Mirror

Il gioco inizia appunto quando il protagonista decide improvvisamente di non voler più pedalare e scende dalla bicicletta. Comincia dunque una fuga perigliosa: nella prima parte dell’evasione dovremo cercare la via d’uscita dalla fabbrica, sgusciando da sotto il naso dei giganteschi sorveglianti (N.B. tutti gli operai sono scheletrici, tutti i sorveglianti sono ben panciuti, plastica rappresentazione dell’uguaglianza comunista…); se i molossi ci vedono, urleranno a gran voce “SPAT!”, vocabolo rumeno [russo] traducibile “Falcia/Distruggi!”,  provocando la nostra immediata fucilazione:

da destra verso sinistra: Marx, Lenin, Stalin, Gheorghe Gheorghiu-Dej (precedente segretario del Partito Rumeno dei Lavoratori prima di Ceausescu)

Oppure dovremo arrampicarci sulle gru mentre il popolo è distratto dall’indottrinamento obbligatorio:

Tovarăși (Compagni), dovete imparare quando è necessario applaudire…
…e quando è necessario fischiare (come nei Due Minuti d’Odio orwelliani)

E potremo anche svelare qualche verità nascosta:

Cioè… tutti quei documentari in cui si vede il paradiso in terra edificato dal socialismo reale… è solo propaganda girata in un set? Incredibile, chi l’avrebbe mai sospettato.

A un certo punto il protagonista, passando attraverso una fogna come nella migliore tradizione di evasione, riesce infine ad uscire dalla fabbrica e vedere il bellissimo cielo azzurro… cioè, in realtà è un cielo plumbeo e inquinato, ma è comunque il cielo.

Le ali della libertà!

Tuttavia siamo solo a metà del gioco, perché adesso diventa ancora più difficile. Non bastava uscire dalla prigione perché tutto lo Stato è una gigantesca prigione, con fili spinati, città in rovina, cave, mura, ciminiere, altiforni, navi piene di cadaveri, mecha e super-mecha:

non voltarti… non voltarti…

Questa seconda parte è la più interessante e riuscita. Anzitutto perché il protagonista nel corso della sua peregrinazione incontra un fedelissimo cane robotico che diventa il suo indispensabile compagno d’avventura per scappare assieme, una cosa che ormai è un topos videoludico (chi ha giocato Portal ricorderà con affetto il Cubo da Compagnia). Poi perché i puzzle da risolvere diventano ancora più complicati, e in alcuni punti la sfida per l’intelletto è molto appagante. Infine perché gli sviluppatori rumeni hanno inserito dei veri e propri omaggi alla loro patria, riproducendo luoghi ed eventi reali, come spiegato nel sito del gioco:

http://www.blackthefall.com/news/btf-irl

Sì che l’impressione di “stare nella storia” diventa davvero percepibile. Per esempio, il protagonista raggiunge una chiesa di cui è in corso la demolizione, ma al cui interno resistono ancora dei fedeli in preghiera: …continua a leggere

Claudio Sircliges Menghini su clubtheologicum

Immagini private dell’autore.

ROMANIA, MARTIRI DIMENTICATI


Articolo di Giampaolo Romanato pubblicato su Avvenire il 16 luglio 2015.

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Vescovi romeni greco-cattolici deportati nel Gulag

Quella avvenuta in Romania dopo il 1945 ad opera del governo comunista fu una delle più spietate e sanguinose persecuzioni anticattoliche di tutto il secolo scorso. Una pagina che disonora chi la scrisse e che esalta l’eroismo dei molti – vescovi e sacerdoti, soprattutto greco-cattolici – che la subirono senza piegarsi.

La selvaggia violenza che si dispiegò nelle prigioni comuniste della Romania (senz’altro maggiore rispetto agli altri Paesi dell’Est sovietizzato) ci era nota finora soprattutto grazie alle benemerite ricerche di Cesare Alzati e Giuliano Caroli, fra i pochi studiosi italiani che hanno analizzato a fondo le vicende romene, cioè della «sorella latina d’Oriente», come veniva chiamato nell’Ottocento il Paese danubiano, resosi autonomo negli stessi anni in cui avveniva l’unificazione italiana. Ai loro lavori, fondati sullo studio dei documenti, vanno aggiunte le impressionanti memorie del vescovo Ioan Ploscaru (Catene e terrore, Edb 2013), sopravvissuto a 15 anni di detenzione e spietate torture. Catene_e_Terrore

Su questa buia vicenda, poco conosciuta ma soprattutto frettolosamente accantonata dalla nostra labile memoria, si aggiunge ora l’analitica ricerca di uno studioso romeno, di confessione ortodossa, che ha studiato a Roma conseguendo il dottorato alla Gregoriana (Cosmin C. Oprea, Tra Roma, Bucarest e Mosca. Cattolici, ortodossi e regime comunista in Romania all’inizio della guerra fredda. 1945-1951, Aracne, pp. 568, euro 30). Oprea ricorda giustamente gli antefatti, accaduti nel ventennio fra le due guerre, non privi di rilievo su ciò che accadde dopo.

Il primo fu lo spettacolare ampliamento territoriale della Romania dopo la prima guerra mondiale, in particolare l’acquisizione della Transilvania, abitata prevalentemente da ungheresi e da cattolici di rito orientale, che caricò un Paese già fragile, fin allora quasi interamente ortodosso, della necessità di gestire due minoranze, una etnica e l’altra religiosa. Il secondo è rappresentato dal concordato con la Santa Sede, stipulato nel 1927 e andato a effetto due anni dopo, che – in un Paese la cui identità era legata all’ortodossia – creò una situazione di privilegio sicuramente anomala per la componente cattolica.

Dopo la seconda guerra mondiale la Romania, come sappiamo, finì nel blocco sovietico, con la conseguenza che sul suo incerto tessuto sociale si abbatté il ciclone dello stalinismo, ossessionato da due nemici da abbattere ad ogni costo: i valori dello spirito e dell’aldilà, che si opponevano alla costruzione della società comunista, e i poteri «esterni» all’orbita del sistema sovietico, che minacciavano la compattezza oppressiva del potere.

Il cattolicesimo, ancorato a una trascendenza non spiritualistica ma fortemente incarnata nella storia, nonché obbediente a quella centrale internazionale «reazionaria» e «anticomunista» che era la Santa Sede di Pio XII, li rappresentava entrambi. Di qui la lotta senza quartiere contro il cattolicesimo, scatenata in tutte le nazioni situate oltre la cortina di ferro.

Una lotta che in Romania, osserva giustamente Oprea, fu più spietata che negli altri Paesi dell’Est europeo perché la Romania, a maggioranza ortodossa e di cultura fondamentalmente levantina, sembrava offrire meno resistenze che non la Polonia o l’Ungheria o la Cecoslovacchia, dove una più solida tradizione cattolica e strutture sociali meno precarie costituivano ostacoli capaci di impensierire anche il totalitarismo comunista.

drumul unui martir Vasile AftenieSu questo sfondo, nel giro di pochi anni, il regime comunista romeno, guidato dall’Urss, annientò con il metodo del terrore entrambe le componenti del cattolicesimo locale: quella latina e quella di rito orientale, greco-cattolica, che nel 1948 contava 6 diocesi e oltre un milione e mezzo di fedeli. Quest’ultima fu sciolta, privata dei beni e delle chiese e riportata a forza nell’alveo dell’ortodossia con un atto di imperio politico (ottobre 1948) analogo a quello già attuato in Ucraina, mentre i suoi vescovi, incarcerati per il loro rifiuto di staccarsi da Roma, subirono un martirio che rimane scolpito con i colori del sangue nella storia del Novecento. Per uno di loro, Vasile Aftenie, fatto letteralmente a pezzi nella più famigerata delle carceri romene, quella di Vacaresti, poco fuori di Bucarest, è stato doverosamente avviato il processo canonico che lo porterà sugli altari.

In mezzo, fra persecutori e perseguitati, rimase compressa la Chiesa ortodossa, che pagò anch’essa il suo tributo al martirio, ma riuscì a sopravvivere con una serie di compromessi, concessioni e cedimenti – il cui principale artefice fu il patriarca Justinian Marina, perfetto esemplare di collaborazionismo – sui quali questo libro appare davvero troppo indulgente.

La lotta al cattolicesimo coinvolse anche religiosi italiani operanti in Romania (del francescano veneto Clemente Gatti, che esercitava prima in Transilvania e poi a Bucarest, morto in seguito alle spietate torture subite in carcere, è in corso la causa di canonizzazione) e personale della nostra ambasciata, che aveva cercato di coprirli e proteggerli. L’episodio più noto di questa fosca vicenda furono i due processi al personale della Nunziatura, chiusa nel 1950 (due anni prima era stato unilateralmente denunciato il concordato), che ricalcarono il tragico copione già visto in Ungheria con il processo al primate cardinale Mindszenty.

Ma perché tanto odio per il cattolicesimo romano? Un barlume di risposta (anche se non certo di giustificazione) la fornisce un rapporto della polizia segreta romena, la Securitate, riportato dall’autore a pagina 121. Merita di essere letto per intero: «Le possibilità informative del Vaticano, in tutti i Paesi in cui esiste la Chiesa cattolica, sono vaste, soprattutto grazie al fatto che il Sommo Pontefice ha a sua disposizione un intero esercito di preti ben preparati, disciplinati, facilmente manovrabili, non essendo vincolati dalla famiglia o da patrimoni. Ogni sacerdote della Chiesa romano-cattolica è, nello stesso tempo, un agente informativo perfetto del Papa di Roma, che trasmette da ogni angolo del mondo, per mezzo di scaglioni gerarchici, tutti i dati di natura politica, sociale, economica e religiosa che raccoglie dal seno della sua comunità religiosa». La forza politica e informativa dell’organizzazione cattolica, estesa in ogni continente e pericolosa, ieri non meno di oggi, per ogni regime totalitario, non poteva essere descritta meglio.

di Giampaolo Romanato su Avvenire , 16 luglio 2015.

ROMÂNIA, 25 DE ANI DE LIBERTATE. BIBLIOTECA BASAGLIA ROMA, 11 DECEMBRIE ORA 16,30.


Mărturie pentru a nu uita. Invitaţie pentru Joi, 11 decembrie 2014, orele 16,30, la BIBLIOTECA “FRANCO BASAGLIA” din via Federico Borromeo nr. 67, Roma: Sărbătorim Ziua Naţională şi marcarea a 25 de ani de la Revoluţie. Amintim 100 de ani de la izbucnirea Primului Război Mondial; comemorăm eliberarea, eroii şi martirii dictaturii comuniste. Participarea este liberă.  ro_11_dec_2014-page-001

Cu ocazia aniversării Zilei Naţionale şi marcarea a 25 de ani de la Revoluţie, Asociaţia IRFI onlus “Italia Romania un Viitor împreună”, organizează, cu patronajul Instituţiei Biblioteche di Roma, a Municipio Roma XIV Monte Mario, a Ambasadei României în Italia şi Ambasadei României pe lângă Sfântul Scaun şi Ordinul Suveran Militar de Malta, simpozionul ROMÂNIA, 25 DE ANI DE LIBERTATE.

Evenimentul, la care au fost invitate autorităţile şi personalităţi ale istoriei secolului XX, va avea loc joi, 11 decembrie 2014, la orele 16.30, la BIBLIOTECA publică “FRANCO BASAGLIA” din Roma, în via Federico Borromeo nr. 67.

 În program:

– Prezentarea volumelor colecţiei Memoria – editura Rediviva Milano 2014: “Catacombele României. Mărturii din închisorile comuniste” (documentare Claudia Bolboceanu, Lorena Curiman, Mirela Tingire, ediţie îngrijită de Violeta P Popescu: Ed. Rediviva 2014 şi “Între memorie şi uitare” de Mihaela Ghiţescu (traducere Ingrid B. Coman), Rediviva 2014.

– Conferinţă despre episcopul martir Anton Durcovici (1888-1951), lăsat să moară de foame şi de sete, în închisoarea de exterminare de la Sighet pe 10 decembrie 1951.

– VIDEO: “Catacombele României. Mărturii din Închisorile comuniste”(7 min.), realizator Alina Nastasa.

– CONCERT organizat de “Arpeggio”, corul madrigal al Asociaţiei IRFI onlus “Italia Romania Futuro Insieme”.

Invitaţi:   Domnul Ignazio Marino, Primarul Capitalei Roma; PS Episcop Siluan, Episcopia Ortodoxă Română a Italiei; autorităţi şi numeroase personalităţi ale istoriei secolului XX.

Vor fi prezenţi: Doamna Dana Manuela Constantinescu Ambasador al României în Italia, domnul Bogdan Tătaru-Cazaban Ambasador al României pe lângă Sfântul Scaun şi Ordinul Suveran Militar de Malta.

Vor lua cuvântul: Pr. Gavril Popa (Episcopia Ortodoxă Română a Italiei), Prof. Violeta P. Popescu (Ed. Rediviva), Prof. Fernando Crociani Baglioni (istoric, sociolog), Dott. Tatiana Ciobanu (As. italiană-moldovenească “Dacia”), Pr. Isidor Iacovici (postulator al cauzei de beatificare şi canonizare a episcopului Anton Durcovici), Ingrid Beatrice Coman (scriitoare), Pr. Gabriel Buboi (Rector al Colegiului Pontifical Pio Romeno din Roma), Simona Cecilia Crociani Baglioni Farcaş (As. IRFI onlus “Italia Romania Futuro Insieme”).

“După 25 de ani de la căderea totalitarismului avem datoria morală să reflectăm asupra semnificației pe care o au libertatea și valoarea sacrificiilor celor coerenți cu propriile idealuri. Este important să înțelegem contextul simbolic pentru a vedea transformările prin care a trecut țara noastră. Există o pierdere a memoriei care generează derapaje ideologice și o îndepărtare de la ceea ce ar trebui să fie măsura tuturor lucrurilor și anume OMUL.

Filosofia personajelor din cartea Le catacombe della Romania este filosofia caracterului, al bunului simț și a solidarității creștine. Modelul personalităților prezentate în carte ne oferă o alternativă la viața agitată și uneori lipsită de sens. In schimbul epistolar al unora dintre cei pomeniți în carte se simte un echilibru interior și o frumusețe a chipului care derivă din credință.

De multe ori ne întrebăm cine are grijă de noi, răspunsul vine din patrimoniul de viață al martirilor și mărturisitorilor secolului XX, ei ne învață să trăim asemeni vulturilor deasupra tumultului și să evităm înjosirea.

Și pentru că martirii și mărturisitorii secolului XX ne învață să fim recunoscători îi mulțumesc dnei Violeta Popescu pentru entuziasmul constant în a promova litera și spiritul românesc în dialogul cu cultura și spiritualitatea italiană”. (Din mesajul consulului general al României la Milano, George Bologan).

Tot joi, în data de 11, după simpozion, începând cu ora 19.30, se va servi o bogată “cină împreună”, cu mâncăruri tradiţionale româneşti şi italieneşti, la restaurantul “L’Antico Moro” în Trastevere (Via del Moro, 61/62 – Piaţa Trilussa).  Pentru informaţii şi rezervări: irfionlus@yahoo.it sau 320 1161307.

Cum se ajunge la BIBLIOTECA “FRANCO BASAGLIA” din via Federico Borromeo nr. 67, Roma: Cu metroul A, staţia Battistini + autobuz nr. 46, 907). Informaţii la tel. +39 /06 45460370 /71 şi email: irfionlus@yahoo.it .

 

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Arpeggio

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8 OTTOBRE: OTTO D’ASBURGO, RICORDATO E ONORATO IN VATICANO


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Otto von Habsburg-Lothringen. Image via Wikipedia

Messa cardinalizia con la società romana, il Corpo Diplomatico e 120 organizzazioni italiane ed internazionali.

 (VATICANO – 03 ottobre 2011, Simona C. Farcas) – La Città Leonina, sabato 8 ottobre 2011, nella sua sovrannaturale e bimillenaria storia annovera ancora una giornata memorabile, che già entra nella storia del XXI secolo.

Un solenne Pontificale di Requiem suffraga nel rito antico “pro Romano Imperatore” l’anima eletta di un uomo eccezionale, semplice e buono, sereno quanto l’esempio di santità ricevuto nel sangue imperiale da suo padre, il Beato Carlo I d’Austria, deciso ed eroico quanto le tragedie del XX secolo imposero alla dignità del suo ruolo e del retaggio cesareo e di difesa della Cristianità; tenace e generoso, anteponendo sempre la salvezza, la libertà, pacificazione e riconciliazione dei popoli europei, al suo stesso personale interesse.

L’Arciduca Otto d’Asburgo, sepolto a luglio nella Cappella viennese dei Cappuccini, riposa accanto a dodici imperatori e diciotto imperatrici, e centodiciotto membri della Casa d’Asburgo. Non fu mai nostalgico del suo trono, ma dedicò tutta la sua esistenza all’ideale di una Europa cristiana unita, nel segno della sua civiltà, avversando tutte le ideologie e regimi totalitari che ne compromisero nel secolo scorso i suoi destini. Mirò sempre avanti, nei suoi contatti con le teste coronate e i potenti, sia nella sua azione culturale che nell’impegno politico nella veste di deputato al Parlamento europeo, eletto per quattro legislature e vent’anni in Baviera. Cadute le tristi misure che comminavano l’esilio per delitto di cognome, cadute le ideologie, il Muro di Berlino, ed infine rovinato il Comunismo nell’Europa Centro-orientale, fu accolto, rispettato e onorato, con la sua famiglia e dinastia, nella sua Austria, in Ungheria, in Croazia, le quali unitamente alla Germania, gli conferirono le rispettive cittadinanze; quasi a voler riparare ai torti ingiustamente inflitti dal novello giacobinismo, che nel XX secolo parve paradossalmente coincidere tra nazionalsocialisti, comunisti e sedicenti democratici, ad una dinastia che ebbe il torto di rappresentare per un millennio l’ecumene cristiano, non solo in Europa, ma nell’intero mondo conosciuto; da quando il suo avo, Carlo V, proclamò di “regnare su un Impero sul quale non tramonta mai il sole” .

Il Cardinale bavarese Walter Brandmüller, il quale gli fu amico in vita, non meno di quanto lo fu l’altro bavarese, Cardinale Joseph Ratzinger, Romano Pontefice felicemente regnante, ne celebra il Pontificale di Requiem, che unisce i romani all’Europa dei popoli, delle piccole e grandi Patrie, che nella loro storia millenaria conobbero le autonomie plurali, le libertà locali, le specificità, le confessioni, la convivenza di etnie, idiomi e culture che riconducono per il XXI secolo alla intramontabile civiltà cristiana.

Il sacro rito si celebra, nella novena di S. Maria del Rosario, detta “della Vittoria“, anche nel ricordo del 440° del trionfo di Lepanto. Quella vittoria degli europei uniti che segnò, nel 1571, la salvezza dell’Europa cristiana, al comando di un altro Asburgo d’Austria, nella memoria di Otto d’Asburgo, verrà ricordata al Vespro al Camposanto Teutonico in Vaticano, presente il Corpo Diplomatico accreditato alla Santa Sede e al Quirinale, e la società romana.

“Che cosa c’entra l’aborto con i rumeni violenti?”


“Si agita qualcosa di diverso e particolare nelle nostre società frantumate e interconnesse. Si agita lo spettro dell’istinto disumano, il facile precipitare nelle zone tenebrose della non ragione. E questo ovunque e a qualunque latitudine.” Donatella Papi

Quando ho letto l’articolo di Lucetta Scaraffia “Che cosa c’entra l’aborto con i rumeni violenti?” su Il Riformista, pubblicato il 5 febbr. 2009, mi sono sentita male. Ma non per le cose lette nell’articolo, bensì per il termine “Prof.”… di Storia Contemporanea alla Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Roma La Sapienza. Sì, ho avuto un mancamento.
Mi permetto di ricopiare per intero il suo articolo, anche se non meriterebbe attenzione; lo faccio perché aggiungerò tutte le risposte degli intelettuali italiani e romeni, politici e così via, a quest’articolo. Non mi sento neanche sfiorata dalle sue parole, mi fa paura solo il fatto che essa sia una “docente universitaria”.

No, non sono rassicuranti le facce dei giovani rumeni violentatori, e fanno venir voglia di tirar conclusioni pericolose, come pensare che tutti i rumeni sono dei potenziali violenti. Anche se tutti noi, ormai, abbiamo conosciuto rumeni pacifici e lavoratori, persone per bene che sopportano con dignità e speranza la loro difficile situazione di emigrati. Ma sono occhi che fanno capire molte cose: vi ho trovato il vuoto, il gelo, la povertà umana che ho sentito in un recente viaggio in Romania. Non è che si tratti di un brutto Paese, né di un Paese privo di testimonianze artistiche pregevoli: la questione è un’altra, e riguarda l’atmosfera complessiva che vi si respira, un’atmosfera di disumanizzazione.

Certo, la povertà è ancora forte ed evidente, ma non somiglia alla povertà calda e viva del Terzo mondo, dove vita e colori testimoniano la volontà di esistere e di sperare nonostante tutto. Quello che stupisce è l’assenza di spirito vitale, di voglia di fare e di abbellire il mondo: pur essendo a maggio, non ho visto un fiore nella terra che circonda le casette allineate lungo la strada in molte regioni del Paese, non ho sentito una volta il profumo di pane appena sfornato. Un paese dove, quasi vent’anni dopo la fine del comunismo, il pane è ancora cotto in forni centralizzati – e poi distribuito nei negozi e supermercati in buste di plastica che lo rendono spugnoso e cattivo, uguali per tutti e dovunque – pone dei drammatici interrogativi.

Perché non c’è stato un risveglio di energie, di vitalità, alla fine della terribile dittatura che l’ha angariato per decenni? Perché i rumeni preferiscono emigrare – e poi magari riempirsi di ostilità dei ricchi abitanti degli altri Paesi europei – invece di ricostituire il loro Paese? Forse perché non è solo povero, ma disperato. Il comunismo di Ceausescu ne ha ucciso l’anima: tutti sospettavano di tutti, ogni legame umano è stato dissolto, ogni iniziativa mortificata, ogni possibilità di ribellione estirpata. In Romania si vedono ancora le tracce di un male capace di distruggere tutto, e di durare nel tempo, di contagiare ogni realtà: perfino i rapporti fra le religioni presenti nel Paese ne sono stati a tal punto avvelenati, che ancora oggi un profondo rancore le divide e ostacola la loro rinascita.

Se uno ha ancora dubbi su cosa sia stato il comunismo, un viaggio nelle campagne rumene costituisce senza dubbio l’occasione per aprire gli occhi definitivamente. Ma tutto questo non vuol dire, come ha scritto Ceronetti sulla Stampa di lunedì, che la violenza degli stupratori si spiegherebbe con il fatto che «si tratta di figli di ventri forzati a partorire da Ceausescu sotto stretta sorveglianza antiabortista della Securitate, cresciuti in condizioni prossime a randagismo canino».

Non è certo il caso di mettere in dubbio la dura repressione dell’aborto da parte del dittatore – del resto magistralmente raccontato nel bellissimo film del regista rumeno Cristian Mungiu, nel 2007 Palma d’oro a Cannes – ma non è certo questo il suo più grave delitto, né la causa di tutti i mali. Non è detto che i figli nati “non desiderati” siano per forza peggiori di desiderati, e tanto meno che siano condannati al randagismo. La cattiveria umana non ha alcuna remora a presentarsi anche nei figli di buona famiglia, figli sicuramente “desiderati” e viziati: basti pensare ai giovani italiani che hanno dato fuoco all’indiano, poche notti fa. Stupisce che un raffinato intellettuale come Ceronetti si sia rifatto al luogo comune rappresentato dall’utopia del figlio desiderato, che pensi sul serio che i “figli desiderati” sono davvero buoni e felici, e che quelli nati per caso sono delinquenti. Ceronetti nel suo pessimismo, non può ignorare come il male appartenga a tutti gli esseri umani, e che solo una vera educazione al bene e solo una società che sa punire e premiare possono indirizzare i giovani e aiutarli a sfuggirlo. Non può non sapere che i giovanissimi di Trento che hanno fatto ubriacare e poi violentato una loro compagna di scuola sono figli desiderati, ma male amati e male educati.

I recenti casi di cronaca nera fanno capire come il vuoto morale, l’irresponsabilità e la mancanza assoluta di speranza possono accecare tutti: sia gli immigrati rumeni educati in un contesto atroce, in cui forse non hanno mai sentito un parola umana, sia i nostri ragazzi, viziati e accontentati in tutti loro desideri e che, incapaci di sfuggire al vuoto e alla noia delle loro vite, lasciano via libera agli istinti più crudeli. Sono due tipi di vuoto diverso, certo, ma che portano alla fine agli stessi risultati. Prima di dare ogni colpa all’immigrazione, prima di pensare che ogni problema può essere risolto cacciando rumeni o marocchini, dobbiamo guardare a cosa sono diventati i ragazzi italiani.

La Lega Nord e il ‘Riformista’ attaccano governo e il popolo di Romania

Fini: odiosa l’associazione “immigrati uguale criminali”

Romeni: Frattini; no alla sospensione di Schengen se la Romania si riprende i suoi criminali


Urmare a jignirilor la adresa Romaniei, din cotidianul „Il Riformista”, Dan Voiculescu ii invita pe jurnalistii italieni sa cunoasca Romania