Ioan Petru Culianu


Venti anni fa veniva assassinato dal colpo di una calibro 25 lo storico romeno Ioan Petru Culianu
Ioan Petru Culianu insieme a Mircea Eliade

Ioan Petru Culianu insieme a Mircea Eliade

Quel dissidente che studiava le religioni

A vent’anni di distanza dalla scomparsa, avvenuta il 21 maggio 1991, Ioan Petru Culianu non cessa di suscitare interesse. Oltre che nel suo paese d’origine, la Romania, dove è stato ricordato a Bucarest il 23 maggio scorso, a Iasi, la città in cui nacque nel 1950, e in molte altre sedi, convegni su di lui si sono tenuti a Oxford (21-22 maggio) e all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano (3 maggio).

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Chi era Culianu? La sua vita e la sua morte ci riportano al comunismo e agli anni in cui l’Europa era divisa in due dalla cortina di ferro. Giunto fortunosamente in Italia dalla Romania per frequentare un corso di italiano a Perugia, Ioan Petru Culianu scelse l’Occidente e chiese asilo politico in Italia. Era il 1972.

Dopo alcuni mesi di vita raminga e disperata — passò attraverso il campo profughi di Latina, dove fino al 1989 venivano raccolti quanti fuggivano dai paesi dell’Est europeo, e tentò anche il suicidio — la generosità del rettore Giuseppe Lazzati e di Raniero Cantalamessa, all’epoca direttore del dipartimento di Scienze Religiose, gli schiusero le porte della Cattolica, accordandogli una borsa di studio che, per quanto modesta, gli permise finalmente un periodo di tranquillità. Cominciò così una delle più strabilianti avventure intellettuali del secolo appena concluso. Alla fine del 1976 passò a insegnare in Olanda, a Groninga, e una decina d’anni dopo negli Stati Uniti, a Chicago, adottato dal suo celebre connazionale Mircea Eliade come proprio erede e successore.

Scrisse diversi libri, anche di narrativa, e innumerevoli saggi di storia e teoria delle religioni. Assurse così a grande notorietà, ottenendo plauso e ammirazione, ma anche invidie e stroncature, fino alla tarda mattinata del 21 maggio 1991.

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Ma chi era Culianu? Proveniva da una facoltosa famiglia della migliore borghesia intellettuale romena, la classe sociale che il comunismo aveva colpito più duramente, privandola di tutto ciò che possedeva. Nato nel 1950, crebbe fra privazioni, umiliazioni e desideri di rivalsa, nel ricordo straziante del padre, morto in solitudine. Imparò a mimetizzare, nascondere, dissimulare ciò che pensava. Oltre alle lingue, che apprendeva con incredibile rapidità, si dedicò allo studio delle tradizioni religiose, intese soprattutto come contropoteri, vie di fuga, rifugio dello spirito.

Quando arrivò in Italia la sua struttura intellettuale era già formata, come il progetto dei libri che pubblicò in seguito. Quanti lo conobbero allora (chi scrive è fra questi) si resero subito conto di essere di fronte a un personaggio fuori dal comune, a un’intelligenza che sovrastava tutti. Era trattenuto dalla povertà, dalla solitudine, dal terrore di essere assassinato, ma in Olanda e negli Stati Uniti, man mano che crebbero riconoscimenti e successo, l’insicurezza scomparve ed esplose il talento. In meno di vent’anni fece più strada di quanta qualsiasi accademico riesca a farne in un’intera vita.

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Culianu non si era mai confuso con i dissidenti, ma il suo anticomunismo era lucido, senza sconti, e dopo la fine del regime di Ceausescu (1989) aveva denunciato in tutte le sedi internazionali, forte di un prestigio ormai consolidato e di possibilità d’accesso ai maggiori mass media occidentali, le ambiguità di quanto era accaduto nel suo paese: più una congiura di palazzo che una rivoluzione. Scrisse, parlò, si espose, organizzò la visita a Chicago dell’ex re della Romania, Michele. In cambio ricevette minacce e avvertimenti, tanto da rinviare il viaggio in patria — dopo la fuga non aveva più rimesso piede nel suo paese — per il quale aveva già prenotato i biglietti aerei.

Sta in piedi dunque l’ipotesi che la decisione di eliminarlo possa essere maturata nel clima torbido della Romania del tempo, dove ex comunisti della disciolta polizia segreta, la famigerata Securitate, e reduci del vecchio movimento della Guardia di Ferro prebellica si erano coagulati attorno alle posizioni ultranazionaliste di Romania mare (Grande Romania). L’ipotesi è avvalorata dal fatto che dossier Culianu raccolto a suo tempo dalla Securitate, oggi consultabile, risulta «ripulito» e privo di tutto ciò che ci aspetteremmo di trovarvi, come ha rivelato sull’autorevole «Revista 22» Andrei Oisteanu (16-22 maggio 2006). Ma le ipotesi non sono certezze e lasciano aperte altre possibilità, seppure molto meno probabili.

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Fu uno studioso del fenomeno religioso ma non si richiuse mai nella «serietà da obitorio» (sono parole sue) di tanta cultura accademica. La rapidità di scrittura, le intuizioni, le generalizzazioni, tanto geniali quanto discutibili, lo portavano a volare più alto della maggioranza dei suoi colleghi. Fuggito da un mondo totalitario, non era disposto ad acquietarsi nelle evasioni della filologia accademica o in una cultura sterile, salottiera. L’esperienza dell’esilio lo aveva segnato molto più di quanto non desse a vedere. La Romania, dove aveva lasciato la madre anziana e una sorella, rimase sempre nel suo cuore. Ed è in Romania che probabilmente si nasconde il segreto della sua morte.

Come per tutti i dissidenti dal comunismo, l’impatto con l’Occidente fu traumatico, tanto più che giunse in Italia negli anni in cui il Pci toccava l’apice del suo successo. Fu un trauma, per quel giovane poco più che ventenne che era, dover accorgersi che qui l’intellettualità era quasi tutta di sinistra. Il trauma si tramutò in disprezzo e il disprezzo alimentò lo scetticismo che era il sottofondo indecifrabile della sua intelligenza. In una riflessione autobiografica che è stata pubblicata dopo la sua morte aveva scritto che il segreto dell’Occidente consisteva nella «sua capacità di dimenticare subito ogni cosa». Noi dissidenti, aveva soggiunto, non vogliamo esserne fagocitati.

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 di  Gianpaolo Romanato

27 ottobre 2011

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