Roma, LUMSA. Un manuale vivo: le Lezioni di diritto canonico di Giuseppe Dalla Torre e l’insegnamento del diritto canonico nelle Università italiane


Presentazione del volume di Giuseppe Dalla Torre “Lezioni di diritto canonico”, 5a edizione aggiornata a cura di Geraldina Boni e Paolo Cavana, Giappichelli 2022

Lunedì 5 dicembre 2022
ore 17.00 – 19.00
Università LUMSA – Aula Giuseppe Dalla Torre
Via Pompeo Magno 28 – Roma
Anche online su Google Meet

Per iniziativa della cattedra di Diritto canonico dell’Università LUMSA (prof. Paolo Cavana) e della casa editrice Giappichelli, il Dipartimento GEPLI è sede dell’evento “Un manuale vivo: le Lezioni di diritto canonico di Giuseppe Dalla Torre e l’insegnamento del diritto canonico nelle Università italiane”, programmato il 5 dicembre 2022, ore 17.00 (Aula Giuseppe Dalla Torre, sede Pompeo Magno) con diffusione anche online su Google Meet.

L’incontro è realizzato per la presentazione del libro Lezioni di diritto canonico di Giuseppe Dalla Torre, di cui nel 2022 è uscita la 5a edizione aggiornata, a cura di Geraldina Boni e Paolo Cavana (G. Giappichelli, Torino, 2022), e che costituisce uno dei migliori e più diffusi testi di diritto canonico adottati nelle Università italiane.

L’aggiornamento del volume si è reso necessario a seguito delle recenti e importanti riforme dell’ordinamento canonico introdotte da Papa Francesco, tra cui la riforma della Curia Romana e quella del diritto penale canonico, e risponde al duplice obiettivo di mantenere viva e trasmettere anche alle nuove generazioni di studenti la lezione di un grande maestro dello studio del diritto canonico e di illustrare, sia pure sinteticamente, l’ordinamento giuridico della Chiesa cattolica così come esso si presenta nella realtà attuale di fronte alle sfide del nostro tempo.

La presentazione, con introduzione della prof.ssa Geraldina Boni dell’Università di Bologna e conclusioni del prof. Paolo Cavana dell’Università LUMSA, entrambi allievi del prof. Dalla Torre, vedrà l’intervento di cinque professori ordinari di diritto canonico e di un professore ordinario di Storia del diritto medievale e moderno, ciascuno dei quali ha adottato il testo delle Lezioni di Dalla Torre per i propri corsi di diritto canonico nelle Università di appartenenza, a conferma della sua ampia diffusione e validità didattica.

Gli interventi dei sei ospiti saranno anche l’occasione per un confronto/dibattito sullo stato dell’insegnamento del diritto canonico nelle Università italiane e sulla sua persistente attualità.

Il programma prevede i saluti iniziali a cura dei professori Francesco Bonini, rettore dell’Università LUMSA e Claudio Giannotti, direttore del Dipartimento GEPLI.

Partecipano con i propri interventi i professori ordinari di Diritto canonico ed ecclesiastico:

  • Erminia Camassa (Università degli Studi di Trento)
  • Daniela Milani (Università degli Studi di Milano)
  • Antonio Giuseppe Maria Chizzoniti (Università Cattolica del Sacro Cuore)
  • Pietro Lo Iacono (Università LUMSA)
  • Giuseppe Comotti (Università degli Studi di Verona).
     

La serie degli interventi è completata da Lorenzo Sinisi, professore ordinario di Storia del diritto medievale e moderno e titolare dell’insegnamento di Istituzioni di diritto canonico presso l’Università degli Studi di Genova.

Scarica la locandina in pdf https://www.lumsa.it/sites/default/files/link/locandina-presentazione-5-dicembre-2022_b.pdf

Maggiori informazioni su https://www.lumsa.it/un-manuale-vivo-le-lezioni-di-diritto-canonico-di-giuseppe-dalla-torre

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  1. SEPARAZIONE, DIVORZIO, SCIOGLIMENTO DEL VINCOLO E SECONDE NOZZE. APPROCCI TEOLOGICI E PRATICI DELLE CHIESE ORTODOSSE

    di Cyril Vasil, S.J.

    L’influenza del diritto civile romano e bizantino su divorzio e secondo matrimonio

    Nell’era pre-cristiana, il diritto romano permetteva il divorzio per due ordini di motivi: per un accordo fra le parti (dissidium) o per il ripudio di una delle parti a causa di una colpa dell’altra (repudium). […]

    Il maggior riformatore del diritto romano, l’imperatore Giustiniano i (527-565), volle applicare la sua riforma del diritto matrimoniale alla Chiesa. […] La Novella 117 di Giustiniano era un compromesso fra la tradizione della Chiesa orientale – che consentiva la separazione per adulterio o per entrare in monastero – e il diritto romano che permetteva il divorzio per molti altri motivi.

    Si dice spesso che la Chiesa orientale, nel suo desiderio di vivere in armonia con l’autorità civile, abbia fatto molte concessioni, anche a costo di alterare il messaggio evangelico. Si può tuttavia affermare che nel corso del primo millennio anche in oriente la Chiesa aderiva all’assioma di san Girolamo secondo cui “aliae sunt leges Caesarum aliae Christi” (una cosa sono le leggi di Cesare, un’altra quelle di Cristo). […]

    Il primo vero cambiamento si ebbe con il Nomocanone in 14 titoli redatto dal patriarca Fozio nell’883, in cui – mentre si affermava l’indissolubilità del matrimonio – si prevedeva anche una lista di motivazioni per il divorzio, nella forma introdotta dalla legislazione di Giustiniano. Il successivo sviluppo dell’impero bizantino rafforzò, da una parte, il ruolo della Chiesa, dall’altra aprì la strada a una sovrapposizione delle due istituzioni, lo stato e la Chiesa. […]

    Fino alla fine del IX secolo era ancora possibile contrarre il matrimonio civile, ma dall’anno 895, sulla base della Novella 89 dell’imperatore Leone IV, la Chiesa fu proclamata l’unica istituzione legalmente competente a celebrare i matrimoni. In questo modo, la benedizione sacerdotale divenne una parte necessaria dell’atto civile del matrimonio.

    La Chiesa si trovò così a ricoprire il ruolo di garante del matrimonio come istituzione sociale. In conseguenza di ciò, i tribunali ecclesiastici divennero gradualmente – e nel 1086 definitivamente – gli organi competenti in via esclusiva per l’esame dei casi matrimoniali: la Chiesa orientale doveva così conformare il suo esercizio allo Stato e alla legge civile. Una volta che la legge civile iniziò a consentire il divorzio e i successivi nuovi matrimoni, la Chiesa orientale si trovò dunque obbligata a riconoscere queste pratiche. […]

    La successiva diffusione del cristianesimo dal suo centro in Costantinopoli verso territori e nazioni di missione portò con sé anche l’estensione delle pratiche giuridico-disciplinari di questa tradizione, come pure la diffusione dei principi teologici che di tali pratiche costituivano il fondamento.

    È per questo che oggi vediamo come le diverse Chiese ortodosse, nonostante siano istituzionalmente e gerarchicamente separate, seguano per lo più i medesimi principi disciplinari e spirituali.

    Il divorzio nella Chiesa ortodossa russa

    Quando il cristianesimo giunse in Russia dall’antica Bisanzio, le prescrizioni del diritto bizantino riguardo al divorzio vennero incorporate nelle leggi locali, con alcune modifiche attinenti alla situazione russa. […]

    Nel cosiddetto periodo sinodale (1721-1917), fu stabilito e precisato dalle autorità statali, in collaborazione con le autorità ecclesiastiche, un numero fisso di giustificazioni per il divorzio. […]

    Nel 1917-18 il Concilio panrusso (Vserossijskij Pomestnij Sobor) della Chiesa ortodossa russa adottò una nuova legislazione riguardante i divorzi, in reazione alla legge sovietica laicista […]

    il 7 aprile 1918 il Concilio emanò una delibera in cui stabiliva che il matrimonio benedetto dalla Chiesa è indissolubile. Il divorzio, diceva il documento, “è ammesso dalla Chiesa solo per condiscendenza verso l’imperfezione umana e nella cura per la salvezza dell’uomo”, a condizione che ci sia stata una rottura radicale del matrimonio e che la riconciliazione sia impossibile. La decisione di concedere un divorzio ecclesiastico cadeva sotto la competenza dei tribunali ecclesiastici, che agivano su richiesta degli sposi e per ragioni conformi a quelle approvate dal santo sinodo […]

    Oggi la Chiesa ortodossa russa ammette quattordici cause di divorzio. […] Dagli studi sui casi concreti di divorzio autorizzati, con decreti o con dichiarazioni, dai vescovi della Chiesa ortodossa russa, non si evince però il metodo seguito nell’investigazione canonica, né si vede chiaramente l’applicazione dei criteri elencati dalla normativa ecclesiastica. Spesso quello che emerge dalla documentazione è semplicemente il decreto ecclesiastico di divorzio, assieme alla richiesta presentata dalle parti interessate, all’attestazione che la coppia non è più convivente e all’indicazione dell’avvenuto divorzio civile. Ed è in base a questi soli dati che vengono consentiti lo scioglimento del matrimonio religioso e la possibilità di risposarsi.

    Il divorzio nella Chiesa ortodossa greca

    […] Dal XII secolo in poi, il divorzio è stato recepito nelle leggi canoniche e nella prassi della Chiesa greca. Gradualmente, le cause di divorzio si modellarono sempre più sulla situazione della società. […]

    A partire dal XVII secolo, la prassi divorzista divenne più restrittiva […] Alla fine del XVIII secolo, la compilazione di leggi nota come Pedalion permetteva solo una giustificazione per il divorzio, ossia l’adulterio. […]

    Sia la moglie che il marito erano scomunicati se divorziavano per qualsiasi altra ragione e se si risposavano. Queste persone erano allora punite canonicamente con sette anni di esclusione dall’eucaristia. Il Pedalion ricordava anche che, in base al Concilio di Cartagine (407), gli sposi che divorziavano per ragioni diverse dall’adulterio si dovevano riconciliare, o non sposarsi più. Il Pedalion fu pubblicato con il consenso del patriarca e divenne il testo più autorevole della Chiesa greca. Non ebbe mai, però, un’influsso molto restrittiva sulla pratica del divorzio.

    La Grecia ottenne l’indipendenza nel 1832, e le questioni matrimoniali vennero regolate da un decreto regio emanato nel 1835. […] Lo Stato greco riconobbe il carattere sacramentale del matrimonio e affidò le questioni matrimoniali alla competenza della Chiesa ortodossa greca, salvo le questioni dei divorzi, che rimasero attribuite allo Stato. […] Se questo decretava in tribunale il divorzio, il vescovo era allora obbligato dalla legge civile a garantire il “divorzio spirituale”. […]

    Il coniuge divorziato – e il cui divorzio civile fosse stato riconosciuto anche dall’autorità ecclesiastica – che voleva poi contrarre un nuovo matrimonio, doveva fare una penitenza (epitimia). E aveva un carattere penitenziale anche il rito della celebrazione del nuovo matrimonio. […]

    Un terzo matrimonio veniva concesso solo ai divorziati che avessero compiuto i 40 anni di età e senza prole. A loro però si proibiva di ricevere l’eucaristia per cinque anni. […] Le quarte nozze erano proibite. […]

    nel 1982 si ebbe in Grecia un’ulteriore riforma del diritto di famiglia, che introdusse un’opzione fra matrimonio religioso e matrimonio civile […]

    Oggi, per la struttura giudiziaria greca, solo il tribunale civile ha competenza nelle cause di divorzio. Solo dopo che il decreto civile di divorzio è stato emesso è possibile per la Chiesa decidere la concessione del divorzio religioso. La dissoluzione canonica del matrimonio riguarda peraltro solo coloro che hanno contratto un matrimonio canonico e desiderano contrarne un altro. […]

    Confrontando ora il divorzio nella Chiesa ortodossa russa e in quella greca, vediamo che le cause di divorzio possono essere divise in tre gruppi:

    1. Adulterio e altri atti immorali simili;
    2. Situazioni fisiche o giuridiche assimilabili alla morte (irreperibilità, tentato omicidio, malattia insanabile, detenzione, separazione di lunga durata, ecc.);
    3. Impossibilità morale di una vita comune (incoraggiamento all’adulterio ecc.).

    Procedimenti giuridici nei paesi dotati di “statuti personali”

    […] In Libano, come anche in altri paesi dell’ex-impero ottomano, la vita delle singole comunità cristiane è governata dai cosiddetti statuti personali. In questi statuti personali, le singole Chiese definiscono se stesse e le loro relazioni con le altre comunità ecclesiali. […]

    In questo modo le singole Chiese sono “costrette” a definire le ragioni e le condizioni per dichiarare la nullità di un matrimonio, lo scioglimento del vincolo coniugale, la separazione degli sposi con permanenza del vincolo e il divorzio, come anche la possibilità di contrarre un nuovo matrimonio.

    Osservando questi approcci alle questioni matrimoniali in varie Chiese ortodosse possiamo concludere che, nella pratica, le Chiese ortodosse adottano o riconoscono, più o meno velatamente, i divorzi civili. […]

    Nella prassi attuale, la separazione di lunga durata dei coniugi è considerata equivalente al divorzio, poiché nella teologia ortodossa la vita comune è un elemento essenziale del matrimonio, e il concetto di separazione “manente vinculo”, come applicato dalla Chiesa cattolica, è sconosciuto alle Chiese ortodosse.

    Indissolubilità del matrimonio. Esiste una dottrina ortodossa comune?

    Nella ricerca di una dottrina ortodossa comune sull’indissolubilità del matrimonio, sul divorzio e sui divorziati risposati, ci troviamo di fronte alla questione se sia effettivamente possibile parlare di tale dottrina comune o di un “magistero” delle Chiese ortodosse. […]

    La prima difficoltà che incontriamo è il fatto che in passato furono pochi gli autori ortodossi che tentarono una riflessione teologica approfondita sulla dottrina comune ortodossa. […]

    In generale, possiamo dire che sulla base del Vangelo tutti gli autori ortodossi riconoscono istintivamente l’indissolubilità del matrimonio cristiano come un tema centrale, e insegnano questa dottrina agli sposi cristiani come un ideale a cui tendere. […]

    In ogni caso, anche se i vescovi ortodossi riconoscono la possibilità del divorzio e delle seconde nozze, li ammettono come un’eccezione che conferma la regola dell’unità del matrimonio e della sua indissolubilità.

    Fra gli autori e i vescovi ortodossi non mancano gli oppositori radicali del divorzio. Alcuni di questi autori sostengono l’osservanza completa dell’indissolubilità del matrimonio e l’impossibilità del divorzio per qualsiasi ragione.

    Ad esempio, l’arcivescovo russo Ignathus (per la Chiesa ortodossa russa sant’Ignatius Brianchaninov, 18071867) non permetteva mai il divorzio, nemmeno per l’adulterio.

    Più moderati, ma apprezzabilmente contrari al divorzio, sono stati anche l’arcivescovo Iacovos (Coucouzis, 1911-2005), metropolita ortodosso del nord e del sud delle Americhe (1959-1996), che già nel 1966 insistette sul fatto che il divorzio dovesse essere limitato, come pure il patriarca copto Shenouda III (1923-2012), che dopo la sua intronizzazione nel 1971 restrinse le ragioni considerate valide per concedere il divorzio nella Chiesa copta ad una sola: l’adulterio. […]

    Considerazioni conclusive

    […] Per il canonista cattolico abituato a ragionare secondo le categorie del diritto processuale matrimoniale è spesso difficile comprendere il fatto che nella Chiesa ortodossa, di per sé, non si parli mai di aspetti procedurali delle cause matrimoniali, né esistano in questa materia avvocati, procuratori, difensori del vincolo, istanze di appello.

    Le Chiese ortodosse non hanno praticamente mai elaborato una dottrina chiara dell’indissolubilità del matrimonio, che possa trasferire i criteri del Nuovo Testamento al livello giudiziario. Questo è il fatto chiave che ci permette di capire perché le Chiese ortodosse, anche al livello delle loro autorità più alte, accettino – spesso passivamente – la realtà sociologica. […]

    La posizione della Chiesa cattolica

    La Chiesa cattolica non riconosce le procedure di scioglimento del legame coniugale e quelle connesse al divorzio per adulterio, nel modo in cui tali procedure sono applicate da varie Chiese ortodosse, né riconosce l’applicazione del principio della “oikonomia” (che in questo caso è considerato contrario alla legge divina), perché queste modalità di scioglimento presuppongono l’intervento di un’autorità ecclesiastica nella rottura di un accordo matrimoniale valido.

    Nelle decisioni in questa materia emesse dalle autorità della Chiesa ortodossa, sono generalmente carenti o praticamente sconosciute le distinzioni fra “dichiarazione di nullità”, “annullamento”, “dissoluzione” e “divorzio”, e spesso i motivi sottesi alle decisioni non sono indicati. […]

    Molte Chiese ortodosse si limitano semplicemente a ratificare le sentenze di divorzio emanate dai tribunali civili. In altre Chiese ortodosse, ad esempio in Medio Oriente, laddove le autorità ecclesiastiche hanno la competenza esclusiva in materia matrimoniale, le dichiarazioni di scioglimento del matrimonio religioso vengono rilasciate solo applicando il principio della “oikonomia”.

    All’inizio di questo saggio ci siamo chiesti se la prassi ortodossa possa rappresentare una via d’uscita per la Chiesa cattolica di fronte all’instabilità crescente dei matrimoni sacramentali, se cioè possa provvedere un approccio pastorale accettabile per quei cattolici i quali, dopo il fallimento del matrimonio sacramentale e il successivo divorzio civile, vogliano contrarre un secondo matrimonio civile.

    Prima di rispondere a questa domanda, però, bisogna considerare un’altra questione. Possiamo pensare di risolvere le difficoltà che i matrimoni cristiani devono affrontare nel mondo contemporaneo diminuendo le esigenze dell’indissolubilità? […]

    Cristo ha portato il suo nuovo, rivoluzionario messaggio, un messaggio che era controcorrente per il mondo pagano. I suoi discepoli hanno annunciato la sua buona novella, senza timore di presentare obiettivi troppo alti o quasi impossibili per la cultura del tempo. Il mondo di oggi, forse, è analogamente segnato da un neo-paganesimo fatto di consumismo, comodità, egoismo, pieno di nuove crudeltà perpetrate con metodi sempre più moderni e sempre più disumanizzanti. La fede nei principi soprannaturali è ora più che mai umiliata e derisa.

    Tutto ciò ci porta a considerare se la “durezza di cuore” possa costituire un argomento sufficiente a oscurare la limpidezza dell’insegnamento evangelico sull’indissolubilità del matrimonio cristiano.

    La risposta ai molti dubbi e alle molte domande, alle molte tentazioni di trovare la “scorciatoia” o di “abbassare l’asticella” per quel grande salto esistenziale che uno fa nel grande “contesto” di una vita matrimoniale, in tutta questa confusione di voci contrastanti e distraenti, risuona ancora oggi nelle parole del Signore: “Quello che Dio ha unito l’uomo non separi” (Mc 10, 9).

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    Fonte: “Remaining in the Truth of Christ” dell’arcivescovo Cyril Vasil, editrice Ignatius Press

  2. ROMA, 30 maggio 2014 – Sull’aereo di ritorno dalla Terra Santa, a papa Francesco è stato chiesto se “la Chiesa cattolica potrà imparare qualcosa dalle Chiese ortodosse” riguardo ai preti sposati e all’accettazione delle seconde nozze per i divorziati.

    CHIESA ORTODOSSA E SECONDE NOZZE

    di Nicola Bux

    Recentemente, il cardinale Walter Kasper si è riferito alla prassi ortodossa delle seconde nozze per sostenere che anche i cattolici che fossero divorziati e risposati dovrebbero essere ammessi alla comunione.

    Forse, però, non ha badato al fatto che gli ortodossi non fanno la comunione nel rito delle seconde nozze, in quanto nel rito bizantino del matrimonio non è prevista la comunione, ma solo lo scambio della coppa comune di vino, che non è quello consacrato.

    Inoltre, tra i cattolici si suol dire che gli ortodossi permettono le seconde nozze, quindi tollerano il divorzio dal primo coniuge.

    In verità non è proprio così, perché non si tratta dell’istituzione giuridica moderna. La Chiesa ortodossa è disposta a tollerare le seconde nozze di persone il cui vincolo matrimoniale sia stato sciolto da essa, non dallo Stato, in base al potere dato da Gesù alla Chiesa di “sciogliere e legare”, e concedendo una seconda opportunità in alcuni casi particolari (tipicamente, i casi di adulterio continuato, ma per estensione anche certi casi nei quali il vincolo matrimoniale sia divenuto una finzione). È prevista, per quanto scoraggiata, anche la possibilità di un terzo matrimonio. Inoltre, la possibilità di accedere alle seconde nozze, nei casi di scioglimento del matrimonio, viene concessa solo al coniuge innocente.

    Le seconde e terze nozze, a differenza del primo matrimonio, sono celebrate tra gli ortodossi con un rito speciale, definito “di tipo penitenziale”. Poiché nel rito delle seconde nozze mancava in antico il momento dell’incoronazione degli sposi – che la teologia ortodossa ritiene il momento essenziale del matrimonio – le seconde nozze non sono un vero sacramento, ma, per usare la terminologia latina, un “sacramentale”, che consente ai nuovi sposi di considerare la propria unione come pienamente accettata dalla comunità ecclesiale. Il rito delle seconde nozze si applica anche nel caso di sposi rimasti vedovi.

    La non sacramentalità delle seconde nozze trova conferma nella scomparsa della comunione eucaristica dai riti matrimoniali bizantini, sostituita dalla coppa intesa come simbolo della vita comune. Ciò appare come un tentativo di “desacramentalizzare” il matrimonio, forse per l’imbarazzo crescente che le seconde e terze nozze inducevano, a motivo della deroga al principio dell’indissolubilità del vincolo, che è direttamente proporzionale al sacramento dell’unità: l’eucaristia.

    A tal proposito, il teologo ortodosso Alexander Schmemann ha scritto che proprio la coppa, elevata a simbolo della vita comune, “mostra la desacramentalizzazione del matrimonio ridotto ad una felicità naturale. In passato, questa era raggiunta con la comunione, la condivisione dell’eucaristia, sigillo ultimo del compimento del matrimonio in Cristo. Cristo deve essere la vera essenza della vita insieme”. Come rimarrebbe in piedi questa “essenza”?

    Dunque, si tratta di un “qui pro quo” imputabile in ambito cattolico alla scarsa o nulla considerazione per la dottrina, per cui si è affermata l’opinione, meglio l’eresia, che la messa senza la comunione non sia valida. Tutta la preoccupazione della comunione per i divorziati risposati, che poco ha a che fare con la visione e la prassi orientale, è una conseguenza di ciò.

    Una decina d’anni fa, collaborando alla preparazione del sinodo sull’eucaristia, a cui partecipai poi come esperto nel 2005, tale “opinione” fu avanzata dal cardinale Cláudio Hummes, membro del consiglio della segreteria del sinodo. Invitato dal cardinale Jan Peter Schotte, allora segretario generale, dovetti ricordare a Hummes che i catecumeni e i penitenti – tra i quali c’erano i dìgami –, nei diversi gradi penitenziali, partecipavano alla celebrazione della messa o a parti di essa, senza accostarsi alla comunione.

    L’erronea “opinione” è oggi diffusa tra chierici e fedeli, per cui, come osservò Joseph Ratzinger: “Si deve nuovamente prendere molto più chiara coscienza del fatto che la celebrazione eucaristica non è priva di valore per chi non si comunica. […] Siccome l’eucaristia non è un convito rituale, ma la preghiera comunitaria della Chiesa, in cui il Signore prega con noi e a noi si partecipa, essa rimane preziosa e grande, un vero dono, anche se non possiamo comunicarci. Se riacquistassimo una conoscenza migliore di questo fatto e rivedessimo così l’eucaristia stessa in modo più corretto,vari problemi pastorali, come per esempio quello della posizione dei divorziati risposati, perderebbero automaticamente molto del loro peso opprimente.”

    Quanto descritto è un effetto della divaricazione ed anche dell’opposizione tra dogma e liturgia. L’apostolo Paolo ha chiesto l’auto-esame di coloro che intendono comunicarsi, onde non mangiare e bere la propria condanna (1 Corinti 11, 29). Ciò significa: “Chi vuole il cristianesimo soltanto come lieto annuncio, in cui non deve esserci la minaccia del giudizio, lo falsifica”.

    Ci si chiede come si sia giunti a questo punto. Da diversi autori, nella seconda metà del secolo scorso, si è sostenuta la teoria – ricorda Ratzinger – che “fa derivare l’eucaristia più o meno esclusivamente dai pasti che Gesù consumava con i peccatori. […] Ma da ciò segue poi un’idea dell’eucaristia che non ha nulla in comune con la consuetudine della Chiesa primitiva”. Sebbene Paolo protegga con l’anatema la comunione dall’abuso (1 Corinti 16, 22), la teoria suddetta propone “come essenza dell’eucaristia che essa venga offerta a tutti senza alcuna distinzione e condizione preliminare, […] anche ai peccatori, anzi, anche ai non credenti”.

    No, scrive ancora Ratzinger: sin dalle origini l’eucaristia non è stata compresa come un pasto con i peccatori, ma con i riconciliati: “Esistevano anche per l’eucaristia fin dall’inizio condizioni di accesso ben definite […] e in questo modo ha costruito la Chiesa”.

    L’eucaristia, pertanto, resta “il banchetto dei riconciliati”, cosa che viene ricordata dalla liturgia bizantina, al momento della comunione, con l’invito “Sancta sanctis”, le cose sante ai santi.

    Ma nonostante ciò la teoria dell’invalidità della messa senza la comunione continua ad influenzare la liturgia odierna.

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    Questo testo di Nicola Bux è tratto dalla postfazione che egli ha scritto per l’ultima opera di Antonio Livi, teologo e filosofo della Pontificia Università Lateranense, dedicata agli scritti e discorsi del cardinale Giuseppe Siri (1906-1989):
    A. Livi, “Dogma e liturgia. Istruzioni dottrinali e norme pastorali sul culto eucaristico e sulla riforma liturgica promossa dal Vaticano II”, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma, 2014.

    Fonte: Sandro Magister, “L’espresso”, 30.05.2014

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