CRISTO È RISORTO! PASTORALE DEL VESCOVO SILUAN, DIOCESI ORTODOSSA ROMENA D’ITALIA


Nella Settimana Santa della Pasqua Ortodossa, abbiamo ricevuto e pubblichiamo la Pastorale di Pasqua di S.E. † SILUAN

Per grazia di Dio, Vescovo della Eletta da Dio Diocesi Ortodossa Romena d’Italia,

Piissimo Ordine Monastico,

Reverendissimo Clero, e tutti coloro che ascoltano
o leggono questa Lettera Pastorale,

Grazia a voi, pace e gioia da Cristo il Risorto dai morti! E da noi, paterna benedizione, assieme all’antichissimo saluto:
CRISTO È RISORTO!

Ogni cristiano si rallegra della Resurrezione del Signore e cerca, come può e per quanto
comprende, di onorarla e solennizzarla. Ma, per la maggior parte dei battezzati, si è come
generalizzata la pratica di „prendere la luce”, di portare per la benedizione il cesto con le leccornie
pasquali, preparare la casa e di coprire la tavola di diverse bontà, secondo „le antiche tradizioni”.
Ci si pone la domanda: che legame c’è tra tutto ciò e il Cristo Risorto? Questo è il senso
secondo il quale Lui si è incarnato, si è fatto uomo, svuotò Sé stesso, prendendo forma di servo,
divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò Sé stesso, facendosi
ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce (Fil. 2, 7-8)?
Non è forse un prezzo troppo grande per un beneficio troppo piccolo? O forse abbiamo perso
di vista ciò che ha portato la venuta nella carne, a noi, di Dio? Forse abbiamo abbandonato la legge
di Dio per mantenere la tradizione nostra (cf. Mc. 9, 7)? Non siamo forse più fedeli, a volte, verso le
„usanze” e le „tradizioni”, alle ricette di cozonac (pandolce) e i sarmale (involtini di verza), ereditati dagli avi, che non verso le leggi redentrici che ci ha comandato Dio, per mezzo del Figlio (cf. Ebr. 1,
2), faccia a faccia (cf. 1 Cor. 13, 12)? Ma no!… Ma se fosse così, ora – o mai più – è il momento di
riconsiderare il senso per il quale il Signore è disceso dal cielo e Si è incarnato, dallo Spirito Santo e
dalla Vergine Maria Si è fatto uomo (Si è umanizzato). E il Credo, dal quale ne abbiamo appena citato
le parole, ci dice anche il senso di tutto quello che per noi è stato fatto: la croce, la tomba, la
resurrezione al terzo giorno, l’ascesa al cielo, la sessione alla destra (del Padre) e persino il senso
della (Sua) seconda e gloriosa venuta. E la risposta è: per noi uomini e per la nostra salvezza! Poiché
il nostro Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati, e che vengano alla conoscenza della verità (1
Tim. 2, 4).
Ma ancora c’è qualcuno che desidera salvarsi e giungere alla conoscenza della verità?
Certamente, coloro che ascoltano o leggono questa lettera pastorale risponderanno: “Io sì”!
“Anch’io”! “Anch’io”! … Ma la salvezza e, specialmente, la via che essa esige sono diventate, per
tanti tra coloro che definiscono sé stessi “fedeli”, “nozione astratta”, che solo coloro che studiano
teologia glielo potrebbero spiegare, se non addirittura anche questi non lo facciano solo in modo
teorico… Sapranno ancora le nonne o le mamme cristiane insegnare ai nipoti o i figli – o le madrine
insegnare ai figliocci – a dire il Credo e, di più, sapranno forse spiegargli il senso di ogni singolo
articolo di cui esso è composto? È possibile che sappiano ancora farlo… Ma la prassi ci mostra che
la maggior parte delle nonne, mamme o madrine, con le quali noi ci incontriamo, hanno difficoltà a
recitare il Credo, dall’inizio alla fine, senza tentennamenti e senza il supporto del “testo”, e non hanno
la capacità di spiegare ai nipoti e, rispettivamente, ai figli o figliocci, gli articoli che compongono il
Credo.
Vista la situazione, è il caso che non si faccia passare questa Solennità perché ci rimangano
nell’anima solo i ricordi gastronomici. Mettiamo, dunque, nel cuore le seguenti verità di fede:
Il nostro Dio è, nella Sua essenza, AMORE! Padre, Figlio e Spirito Santo pongono in essere
(creano) sono nell’amore e per l’amore! E l’amore che sgorga dal seno della Santa Trinità non è
egoista, ma si è riversato e si è “materializzato” nel mondo in cui viviamo e nell’universo che ci
circonda. Ma il mondo creato da Dio ha ricevuto un “signore”: l’Uomo, fatto a immagine di Dio e
dotato di tutto ciò che è necessario per assomigliare a Colui che lo ha creato. Il rapporto di Dio con
l’uomo, fatto a Sua Immagine, era basato sull’amore e sulla fiducia. A l’uomo Dio ha affidato il
paradiso e ogni essere vivente da Lui creato. Per provare e rafforzare l’amore e la fiducia dell’uomo
nei Suoi confronti, il Signore gli ha dato un singolo comando, dal quale dipende la stessa sua vita:
dall’albero della conoscenza del bene e del male non mangiare, il giorno in cui ne mangiassi, senza
dubbio morirai! (Gen. 2, 17). Ma l’uomo ha avuto più fiducia della creatura (il serpente di cui ne era
il custode/signore) che del Creatore – Dio. Da ciò, il rapporto d’amore tra l’uomo e Dio si è
compromesso, e l’uomo ha perduto, insieme all’immortalità corporale, anche l’incorruttibilità,
divenendo, così, mortale e corruttibile (soggetto all’invecchiamento).
Ma Dio-Amore non rinnega Sé stesso e rimane fedele al principio con cui ha costruito il
rapporto con l’uomo. Dio rimane fedele e amorevole verso l’uomo, non ostante la sua caduta, e
mantiene, nella coscienza dell’uomo, la speranza del riscatto e della liberazione da ogni privazione
sopraggiunte insieme alla cacciata dal paradiso e la rottura del patto d’amore e fiducia verso il suo
Creatore. E non appena trova uno spirito preposto ad accordare fiducia nel suo Creatore, il Signore
gli rivela la propria fiducia nell’uomo, giungendo fino a spogliare Sé tesso, assumere la condizione
di servo e divenire simile agli uomini; a assumere la forma di uomo (cf Fil. 2, 7). Dall’obbedienza e
la fiducia della Vergine Maria – nuova Eva – l’eterno Figlio del Padre – nuovo Adamo – risponde
facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil. 2, 8). Così, per mezzo della venuta
nella carne del Figlio di Dio, si rinnova l’Uomo, si rinnova l’umanità fatta a immagine di Dio e si
apre, ad ogni figlio o figlia del vecchio Adamo, la possibilità di innestarsi nel Corpo del Nuovo
Adamo, affinché la linfa della Vite nuova e eterna giunga in ognuno degli altri membri.


Per questo, il Signore e Redentore nostro ci dice:
Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in Me e Io in lui, fa molto frutto, perché senza di Me
non potete far nulla. Se rimanete in Me e le Mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e
vi sarà dato (Gv. 15, 5; 7).
Il principio dell’amore tra Dio e uomo, come abbiamo potuto vedere dall’inizio, si fonda sulla
custodia della parola – i comandamenti – di Dio: Se uno Mi ama, osserverà la Mia parola e il Padre
Mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui (Gv. 14, 23). Chi accoglie i Miei
comandamenti e li osserva, questi Mi ama (Gv. 14, 2). Le parole che vi ho dette sono spirito e vita
(Gv. 6, 63). Sullo stesso principio si fonda anche il rapporto di ciascuno di noi con il nostro Redentore
e Dio. L’essere credente non si riduce solo al credere che Dio “esiste”. Essere credente significa aver
fiducia nel Signore, nelle Sue parole, significa custodire i Suoi comandamenti, vale a dire, costruire
su di essi i principi del pensare e del vivere, e non affidarsi a parole o opinioni o “il consiglio” di altri
più che a quello che il Signore dice o comanda.
Il rapporto di comunione con il nuovo Admo e la condivisione con Lui dipende da un nuovo
comandamento di salvezza, dato dal Signore ai Suoi discepoli, nella notte in cui fu venduto – più
precisamente quando Egli stesso Si è dato per la vita del mondo- allora, Egli prese il pane e, rese
grazie, lo ha spezzato ed ha detto: Prendete, mangiate, questo è il Mio corpo che si spezza per voi.
Fate questo in memoria di Me. Allo stesso modo con il calice, dopo la cena, e disse: Questo calice è
il nuovo testamento, nel Mio sangue. Questo fate, ogni volta che ne berrete, in memoria di Me. Poiché,
ogni volta, se mangerete questo pane e berrete questo calice, annuncerete la Mia morte,
testimonierete la Mia resurrezione, fino al Mio ritorno (1 Cor. 11, 23-26 e Liturgia di San Basilio il
Grande). Questo comandamento di salvezza si ricorda ed attualizza ad ogni Divina Liturgia, e
soprattutto il primo giorno della settimana (cf. Atti 20, 7), seguendo quanto stabilito fin dal tempo
degli apostoli, quando quanti da essi battezzati, Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli
apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere (Atti 2, 42).
È essenziale comprendere che, se il rimanere di Adamo nel paradiso dipendeva dalla
custodia/vivere il comandamento, “Non mangiate”, allo stesso modo, anche il rimanere innestati al
Corpo di Cristo – la Chiesa – dipende, questa volta, dalla custodia/vivere il comandamento
“Mangiate”. Questa è la ragione per la quale la Chiesa ha stabilito, con il canone 9 Apostolico e il
Canone 2 del Sinodo di Antiochia (341), che coloro che, partecipando alla Liturgia, non si
comunicano con Santo Corpo e con il Santo Sangue di Cristo Redentore, siano allontanati, come chi
disobbedisce, fino a quando non si convertono/pentono e chiedano perdono, per essere ammessi di
nuovo. Proprio come ci dice il Signore: Rimanete in Me e Io in voi. Chi non rimane in Me viene
gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano (Gv. 15, 4;
6). In verità, in verità vi dico: se non mangiate il corpo del Figlio dell’uomo e non bevete il Suo
sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia il Mio corpo e beve il Mio sangue ha la vita eterna ed
Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché il Mio corpo è vero cibo e il Mio sangue vera bevanda
(Gv. 6, 53-55).
La comunione con la Parola del Signore e con il Corpo e Sangue Suo significa, ogni volta che
lo facciamo, comunione con la Vita di Colui che per noi ha sofferto, ha vinto la morte e, per mezzo
di essa, il peccato; è risorto il terzo giorno, è asceso al cielo, siede alla destra del Padre e di nuovo
verrà, nella gloria, per chiamare a Sé, per l’eternità beata, tutti coloro che hanno amato la sua
manifestazione (Cf. 2 Tim. 4, 8).
Il “luogo” in cui il cristiano desideroso di salvezza compie quello che abbiamo ricordato qui
sopra non è altro che la “Divina Liturgia”. Qui egli ha l’occasione di comunicarsi, in modo
“condensato”, e concreto, con l’insegnamento e il cibo spirituale necessario per rimanere in comunione con il Corpo di Cristo, nel quale fu innestato per mezzo del battesimo, e con tutte le altre
membra che appartengono al medesimo Corpo. Da questo luogo sgorga ogni festa, ogni iniziativa,
ogni nuovo inizio di vita del cristiano, ad una condizione: Che la partecipazione nostra alla Divina
Liturgia non sia mai passiva, cioè come ad uno spettacolo, ma attiva, concreta, tanto nella
preparazione interiore, quanto con la preghiera, con il nutrimento della Parola del Signore e con la
comunione al Santo Corpo e Prezioso Sangue di Cristo Redentore, affinché, uscendo in pace,
benediciamo il nome del Signore e lo annunciamo al mondo nel quale ci è dato di vivere.
Vivendo in questi principi, colui che vuole salvarsi può accumulare conoscenze con la lettura
e il nutrimento con la Parola del Signore, può “esercitarsi” (disporsi) ad ogni buona azione gradita al
Signore; può munirsi con tutte le armi di Dio, affinché possa stare saldo contro le insidie del diavolo
(cf. Efes. 6, 11); può purificare la sua anima, in modo continuo, attraverso la Confessione e la
Comunione, e può, così, festeggiare pienamente la Resurrezione del Signore, pregustando, sin d’ora,
le delizie del Regno eterno del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
È rigorosamente necessario che noi, noi che ci definiamo – e desideriamo esserlo – “fedeli”,
ci riappropriamo, in modo più dinamico, dell’identità di figli di Dio e seguiamo i passi del nostro
Signore e Redentore, spalancando e aprendo anche noi i nostri cuori (cf. 2 Cor. 6, 13), per ricevere
in essi, con compassione, le sofferenze dei nostri simili e dell’intero genere umano – che è tanto
fiaccato a causa della caduta del vecchio Adamo e soffre in modo indicibile – affinché si riversi su di
esso la gioia nostra, quella di avere nel mondo il Redentore, il Nuovo Admo che prende su di Sé il
peccato e la sofferenza del mondo e, per mezzo delle Sue piaghe, fascia le piaghe dei cuori spezzati,
proclama il perdono agli schiavi, ai ciechi ridà la vista, consola tutti coloro che sono nel pianto e
unge di gioia quanti nella tristezza (cf. Is. 61, 1-2; Lc. 4, 18). La nostra preghiera, la compassione e
la benevolenza di ognuno di noi, contano nel mare della sofferenza che ci circonda, e si uniscono con
lo scorrere di grazia e di consolazione, che sgorgano dalle piaghe del Redentore che è risorto dai
morti!
O Cristo, Pasqua grande e Santissima! O Sapienza e Parola di Dio e Potenza; donaci, in
modo pieno, di comunicare con Te, nell’intramontabile giorno del Tuo regno!
A Lui si addice tutta la gloria, l’onore, la gratitudine e l’adorazione, insieme al Padre Suo
senza Principio e al Santissimo e Buono e Vivificante Suo Spirito, ora e sempre, nei secoli eterni.
Amen.

CRISTO È RISORTO!

Nell’abbraccio paterno in Cristo il Risorto e l’Apostolica Benedizione su ciascuno di voi,

vi auguro ogni bene per la salvezza!

† Vescovo SILUAN

della Diocesi Ortodossa Romena d’Italia

Data dalla Nostra Residenza di Roma, nella Luminosa Solennità della Resurrezione del Signore

Anno della Redenzione 2023, il mese di aprile, il giorno sedici.

Lascia un commento