CRISTO È RISORTO! PASTORALE DEL VESCOVO SILUAN, DIOCESI ORTODOSSA ROMENA D’ITALIA


Nella Settimana Santa della Pasqua Ortodossa, abbiamo ricevuto e pubblichiamo la Pastorale di Pasqua di S.E. † SILUAN

Per grazia di Dio, Vescovo della Eletta da Dio Diocesi Ortodossa Romena d’Italia,

Piissimo Ordine Monastico,

Reverendissimo Clero, e tutti coloro che ascoltano
o leggono questa Lettera Pastorale,

Grazia a voi, pace e gioia da Cristo il Risorto dai morti! E da noi, paterna benedizione, assieme all’antichissimo saluto:
CRISTO È RISORTO!

Ogni cristiano si rallegra della Resurrezione del Signore e cerca, come può e per quanto
comprende, di onorarla e solennizzarla. Ma, per la maggior parte dei battezzati, si è come
generalizzata la pratica di „prendere la luce”, di portare per la benedizione il cesto con le leccornie
pasquali, preparare la casa e di coprire la tavola di diverse bontà, secondo „le antiche tradizioni”.
Ci si pone la domanda: che legame c’è tra tutto ciò e il Cristo Risorto? Questo è il senso
secondo il quale Lui si è incarnato, si è fatto uomo, svuotò Sé stesso, prendendo forma di servo,
divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò Sé stesso, facendosi
ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce (Fil. 2, 7-8)?
Non è forse un prezzo troppo grande per un beneficio troppo piccolo? O forse abbiamo perso
di vista ciò che ha portato la venuta nella carne, a noi, di Dio? Forse abbiamo abbandonato la legge
di Dio per mantenere la tradizione nostra (cf. Mc. 9, 7)? Non siamo forse più fedeli, a volte, verso le
„usanze” e le „tradizioni”, alle ricette di cozonac (pandolce) e i sarmale (involtini di verza), ereditati dagli avi, che non verso le leggi redentrici che ci ha comandato Dio, per mezzo del Figlio (cf. Ebr. 1,
2), faccia a faccia (cf. 1 Cor. 13, 12)? Ma no!… Ma se fosse così, ora – o mai più – è il momento di
riconsiderare il senso per il quale il Signore è disceso dal cielo e Si è incarnato, dallo Spirito Santo e
dalla Vergine Maria Si è fatto uomo (Si è umanizzato). E il Credo, dal quale ne abbiamo appena citato
le parole, ci dice anche il senso di tutto quello che per noi è stato fatto: la croce, la tomba, la
resurrezione al terzo giorno, l’ascesa al cielo, la sessione alla destra (del Padre) e persino il senso
della (Sua) seconda e gloriosa venuta. E la risposta è: per noi uomini e per la nostra salvezza! Poiché
il nostro Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati, e che vengano alla conoscenza della verità (1
Tim. 2, 4).
Ma ancora c’è qualcuno che desidera salvarsi e giungere alla conoscenza della verità?
Certamente, coloro che ascoltano o leggono questa lettera pastorale risponderanno: “Io sì”!
“Anch’io”! “Anch’io”! … Ma la salvezza e, specialmente, la via che essa esige sono diventate, per
tanti tra coloro che definiscono sé stessi “fedeli”, “nozione astratta”, che solo coloro che studiano
teologia glielo potrebbero spiegare, se non addirittura anche questi non lo facciano solo in modo
teorico… Sapranno ancora le nonne o le mamme cristiane insegnare ai nipoti o i figli – o le madrine
insegnare ai figliocci – a dire il Credo e, di più, sapranno forse spiegargli il senso di ogni singolo
articolo di cui esso è composto? È possibile che sappiano ancora farlo… Ma la prassi ci mostra che
la maggior parte delle nonne, mamme o madrine, con le quali noi ci incontriamo, hanno difficoltà a
recitare il Credo, dall’inizio alla fine, senza tentennamenti e senza il supporto del “testo”, e non hanno
la capacità di spiegare ai nipoti e, rispettivamente, ai figli o figliocci, gli articoli che compongono il
Credo.
Vista la situazione, è il caso che non si faccia passare questa Solennità perché ci rimangano
nell’anima solo i ricordi gastronomici. Mettiamo, dunque, nel cuore le seguenti verità di fede:
Il nostro Dio è, nella Sua essenza, AMORE! Padre, Figlio e Spirito Santo pongono in essere
(creano) sono nell’amore e per l’amore! E l’amore che sgorga dal seno della Santa Trinità non è
egoista, ma si è riversato e si è “materializzato” nel mondo in cui viviamo e nell’universo che ci
circonda. Ma il mondo creato da Dio ha ricevuto un “signore”: l’Uomo, fatto a immagine di Dio e
dotato di tutto ciò che è necessario per assomigliare a Colui che lo ha creato. Il rapporto di Dio con
l’uomo, fatto a Sua Immagine, era basato sull’amore e sulla fiducia. A l’uomo Dio ha affidato il
paradiso e ogni essere vivente da Lui creato. Per provare e rafforzare l’amore e la fiducia dell’uomo
nei Suoi confronti, il Signore gli ha dato un singolo comando, dal quale dipende la stessa sua vita:
dall’albero della conoscenza del bene e del male non mangiare, il giorno in cui ne mangiassi, senza
dubbio morirai! (Gen. 2, 17). Ma l’uomo ha avuto più fiducia della creatura (il serpente di cui ne era
il custode/signore) che del Creatore – Dio. Da ciò, il rapporto d’amore tra l’uomo e Dio si è
compromesso, e l’uomo ha perduto, insieme all’immortalità corporale, anche l’incorruttibilità,
divenendo, così, mortale e corruttibile (soggetto all’invecchiamento).
Ma Dio-Amore non rinnega Sé stesso e rimane fedele al principio con cui ha costruito il
rapporto con l’uomo. Dio rimane fedele e amorevole verso l’uomo, non ostante la sua caduta, e
mantiene, nella coscienza dell’uomo, la speranza del riscatto e della liberazione da ogni privazione
sopraggiunte insieme alla cacciata dal paradiso e la rottura del patto d’amore e fiducia verso il suo
Creatore. E non appena trova uno spirito preposto ad accordare fiducia nel suo Creatore, il Signore
gli rivela la propria fiducia nell’uomo, giungendo fino a spogliare Sé tesso, assumere la condizione
di servo e divenire simile agli uomini; a assumere la forma di uomo (cf Fil. 2, 7). Dall’obbedienza e
la fiducia della Vergine Maria – nuova Eva – l’eterno Figlio del Padre – nuovo Adamo – risponde
facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil. 2, 8). Così, per mezzo della venuta
nella carne del Figlio di Dio, si rinnova l’Uomo, si rinnova l’umanità fatta a immagine di Dio e si
apre, ad ogni figlio o figlia del vecchio Adamo, la possibilità di innestarsi nel Corpo del Nuovo
Adamo, affinché la linfa della Vite nuova e eterna giunga in ognuno degli altri membri.


Per questo, il Signore e Redentore nostro ci dice:
Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in Me e Io in lui, fa molto frutto, perché senza di Me
non potete far nulla. Se rimanete in Me e le Mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e
vi sarà dato (Gv. 15, 5; 7).
Il principio dell’amore tra Dio e uomo, come abbiamo potuto vedere dall’inizio, si fonda sulla
custodia della parola – i comandamenti – di Dio: Se uno Mi ama, osserverà la Mia parola e il Padre
Mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui (Gv. 14, 23). Chi accoglie i Miei
comandamenti e li osserva, questi Mi ama (Gv. 14, 2). Le parole che vi ho dette sono spirito e vita
(Gv. 6, 63). Sullo stesso principio si fonda anche il rapporto di ciascuno di noi con il nostro Redentore
e Dio. L’essere credente non si riduce solo al credere che Dio “esiste”. Essere credente significa aver
fiducia nel Signore, nelle Sue parole, significa custodire i Suoi comandamenti, vale a dire, costruire
su di essi i principi del pensare e del vivere, e non affidarsi a parole o opinioni o “il consiglio” di altri
più che a quello che il Signore dice o comanda.
Il rapporto di comunione con il nuovo Admo e la condivisione con Lui dipende da un nuovo
comandamento di salvezza, dato dal Signore ai Suoi discepoli, nella notte in cui fu venduto – più
precisamente quando Egli stesso Si è dato per la vita del mondo- allora, Egli prese il pane e, rese
grazie, lo ha spezzato ed ha detto: Prendete, mangiate, questo è il Mio corpo che si spezza per voi.
Fate questo in memoria di Me. Allo stesso modo con il calice, dopo la cena, e disse: Questo calice è
il nuovo testamento, nel Mio sangue. Questo fate, ogni volta che ne berrete, in memoria di Me. Poiché,
ogni volta, se mangerete questo pane e berrete questo calice, annuncerete la Mia morte,
testimonierete la Mia resurrezione, fino al Mio ritorno (1 Cor. 11, 23-26 e Liturgia di San Basilio il
Grande). Questo comandamento di salvezza si ricorda ed attualizza ad ogni Divina Liturgia, e
soprattutto il primo giorno della settimana (cf. Atti 20, 7), seguendo quanto stabilito fin dal tempo
degli apostoli, quando quanti da essi battezzati, Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli
apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere (Atti 2, 42).
È essenziale comprendere che, se il rimanere di Adamo nel paradiso dipendeva dalla
custodia/vivere il comandamento, “Non mangiate”, allo stesso modo, anche il rimanere innestati al
Corpo di Cristo – la Chiesa – dipende, questa volta, dalla custodia/vivere il comandamento
“Mangiate”. Questa è la ragione per la quale la Chiesa ha stabilito, con il canone 9 Apostolico e il
Canone 2 del Sinodo di Antiochia (341), che coloro che, partecipando alla Liturgia, non si
comunicano con Santo Corpo e con il Santo Sangue di Cristo Redentore, siano allontanati, come chi
disobbedisce, fino a quando non si convertono/pentono e chiedano perdono, per essere ammessi di
nuovo. Proprio come ci dice il Signore: Rimanete in Me e Io in voi. Chi non rimane in Me viene
gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano (Gv. 15, 4;
6). In verità, in verità vi dico: se non mangiate il corpo del Figlio dell’uomo e non bevete il Suo
sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia il Mio corpo e beve il Mio sangue ha la vita eterna ed
Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché il Mio corpo è vero cibo e il Mio sangue vera bevanda
(Gv. 6, 53-55).
La comunione con la Parola del Signore e con il Corpo e Sangue Suo significa, ogni volta che
lo facciamo, comunione con la Vita di Colui che per noi ha sofferto, ha vinto la morte e, per mezzo
di essa, il peccato; è risorto il terzo giorno, è asceso al cielo, siede alla destra del Padre e di nuovo
verrà, nella gloria, per chiamare a Sé, per l’eternità beata, tutti coloro che hanno amato la sua
manifestazione (Cf. 2 Tim. 4, 8).
Il “luogo” in cui il cristiano desideroso di salvezza compie quello che abbiamo ricordato qui
sopra non è altro che la “Divina Liturgia”. Qui egli ha l’occasione di comunicarsi, in modo
“condensato”, e concreto, con l’insegnamento e il cibo spirituale necessario per rimanere in comunione con il Corpo di Cristo, nel quale fu innestato per mezzo del battesimo, e con tutte le altre
membra che appartengono al medesimo Corpo. Da questo luogo sgorga ogni festa, ogni iniziativa,
ogni nuovo inizio di vita del cristiano, ad una condizione: Che la partecipazione nostra alla Divina
Liturgia non sia mai passiva, cioè come ad uno spettacolo, ma attiva, concreta, tanto nella
preparazione interiore, quanto con la preghiera, con il nutrimento della Parola del Signore e con la
comunione al Santo Corpo e Prezioso Sangue di Cristo Redentore, affinché, uscendo in pace,
benediciamo il nome del Signore e lo annunciamo al mondo nel quale ci è dato di vivere.
Vivendo in questi principi, colui che vuole salvarsi può accumulare conoscenze con la lettura
e il nutrimento con la Parola del Signore, può “esercitarsi” (disporsi) ad ogni buona azione gradita al
Signore; può munirsi con tutte le armi di Dio, affinché possa stare saldo contro le insidie del diavolo
(cf. Efes. 6, 11); può purificare la sua anima, in modo continuo, attraverso la Confessione e la
Comunione, e può, così, festeggiare pienamente la Resurrezione del Signore, pregustando, sin d’ora,
le delizie del Regno eterno del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
È rigorosamente necessario che noi, noi che ci definiamo – e desideriamo esserlo – “fedeli”,
ci riappropriamo, in modo più dinamico, dell’identità di figli di Dio e seguiamo i passi del nostro
Signore e Redentore, spalancando e aprendo anche noi i nostri cuori (cf. 2 Cor. 6, 13), per ricevere
in essi, con compassione, le sofferenze dei nostri simili e dell’intero genere umano – che è tanto
fiaccato a causa della caduta del vecchio Adamo e soffre in modo indicibile – affinché si riversi su di
esso la gioia nostra, quella di avere nel mondo il Redentore, il Nuovo Admo che prende su di Sé il
peccato e la sofferenza del mondo e, per mezzo delle Sue piaghe, fascia le piaghe dei cuori spezzati,
proclama il perdono agli schiavi, ai ciechi ridà la vista, consola tutti coloro che sono nel pianto e
unge di gioia quanti nella tristezza (cf. Is. 61, 1-2; Lc. 4, 18). La nostra preghiera, la compassione e
la benevolenza di ognuno di noi, contano nel mare della sofferenza che ci circonda, e si uniscono con
lo scorrere di grazia e di consolazione, che sgorgano dalle piaghe del Redentore che è risorto dai
morti!
O Cristo, Pasqua grande e Santissima! O Sapienza e Parola di Dio e Potenza; donaci, in
modo pieno, di comunicare con Te, nell’intramontabile giorno del Tuo regno!
A Lui si addice tutta la gloria, l’onore, la gratitudine e l’adorazione, insieme al Padre Suo
senza Principio e al Santissimo e Buono e Vivificante Suo Spirito, ora e sempre, nei secoli eterni.
Amen.

CRISTO È RISORTO!

Nell’abbraccio paterno in Cristo il Risorto e l’Apostolica Benedizione su ciascuno di voi,

vi auguro ogni bene per la salvezza!

† Vescovo SILUAN

della Diocesi Ortodossa Romena d’Italia

Data dalla Nostra Residenza di Roma, nella Luminosa Solennità della Resurrezione del Signore

Anno della Redenzione 2023, il mese di aprile, il giorno sedici.

La Santa Pasqua nel rito cattolico bizantino


Roma, Sabato 11 Aprile 2015, ore 20,30, Veglia Pasquale nel rito cattolico bizantino (greco-cattolico) nella Chiesa S. Salvatore alle Coppelle, Piazza delle Coppelle, 72/b.

 “L’unificazione della data della Pasqua: una questione di normalità e di buon senso”. Cristian Bădiliţă riprende qui la storia del modo in cui si usa fissare la data della Pasqua, specificando tutte le tendenze (asiatica e/o alessandrina) che hanno preceduto il Concilio di Nicea, nel legiferare la data della Solennità della Pasqua. Allo stesso modo, egli spiega perché i romeni ortodossi hanno adottato solamente in modo parziale il calendario gregoriano (misura che influenza la data della Pasqua), individua riduzionismi storici e porta una proposta in vista dell’unificazione. (Testo romeno e italiano, di Cristian Bădiliţă).

marco anastasis

Gli orientali, ortodossi e cattolici, celebrano la Santa Pasqua in una data diversa dalla Chiesa Cattolica Romana – quest’anno a una settimana di distanza -.

Il Concilio di Nicea del 325 aveva affrontato e risolto la “questione pasquale”, tra coloro che volevano celebrare la festa seguendo il Vangelo di Giovanni, che pone la morte di Cristo nel pomeriggio del 14 del mese ebraico di Nisan – donde i sostenitori erano detti quartodecimani – e quella degli altri tre Evangelisti, che la collocano al 15 cioè in coincidenza con la festa ebraica di Pessach.

Sito internet della Chiesa Romena Unita con Roma Greco-Cattolica – Comunità d’Italia

Pur fra notevoli difficoltà la Chiesa celebrò, “ad una sola voce”, la Pasqua a partire dal 387 fino al 1582, quando il patriarca di Costantinopoli Geremia II rifiutò il calendario riformato di Papa Gregorio XIII. Se da allora la Pasqua non è stata più celebrata in unità, ad eccezione degli anni in cui i calendari coincidono, tuttavia nelle due celebrazioni distinte si possono cogliere gli aspetti salienti comuni e quelli peculiari.
La liturgia orientale sottolinea il digiuno del Grande Sabato e la Veglia in cui si dà importanza alla luce e alle letture bibliche; i riti dell’iniziazione cristiana con la benedizione dell’acqua e il battesimo non sono più in uso, si fanno invece in gennaio, nel giorno della teofania o Battesimo del Signore, la nostra Epifania.
Un rito suggestivo, leit motiv della Pasqua bizantina, avviene il Sabato Santo alla porta della chiesa, dove il celebrante canta: “Cristo è risorto dai morti; con la sua morte Egli ha vinto la morte e a quelli che erano nella tomba ha ridonato la vita“.

Christos a înviat din morți, 

Cu moartea pre moarte călcând, 

Și celor din morminte 

Viață dăruindu-le!

(Cristo è risorto dai morti

con la sua Morte ha calpestato la Morte

donando la vita

ai giacenti nei sepolcri!)

Mentre con la croce tocca le porte che si spalancano. Tutte le campane suonano, i lumi brillano nelle mani di tutti, mentre si canta il canone pasquale di san Giovanni Damasceno, corrispondente all’Exsultet latino attribuito a sant’Ambrogio.
Una curiosità: il rito dell’apertura delle porte al battito della croce astile – segno di Cristo che apre le porte degli inferi – era presente a questo punto nel rito antico prima della riforma della Settimana santa di Pio XII.

ucian Cardinale Mureşan per Grazia e Misericordia del Buon Dio. Arcivescovo e Metropolita dell’Arcieparchia di Alba Iulia e Făgăraş, Arcivescovo Maggiore della Chiesa Romena Unita con Roma, Greco-Cattolica, in piena Comunione di fede con la Santa sede Apostolica di Roma

Lucian Cardinale Mureşan, Arcivescovo e Metropolita dell’Arcieparchia di Alba Iulia e Făgăraş,
Arcivescovo Maggiore della Chiesa Romena Unita con Roma, Greco-Cattolica, in piena Comunione di fede con la Santa sede Apostolica di Roma.

La Pastorale per la Pasqua 2015 di S.E. Card. Lucian, Arcivescovo Maggiore della Chiesa Romena Unita

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Chiesa di San Salvatore alle Coppelle – Roma

La prima fase edilizia certa risale al pontificato di Celestino III (1191-1198) che sostenne in parte il carico della spesa di costruzione e officiò la cerimonia di consacrazione. Di quel periodo rimane oggi il piccolo campanile romanico.
In una bolla di Onorio III del 23 giugno 1222 la chiesa è già citata con l’aggiunta de Cupellis probabilmente per ricordare che nel XII secolo si concentravano nella zona circostante i cupellari, fabbricanti di cupelle ocopelle, i tipici barilotti romani a doghe di legno della capacità di circa cinque litri usati per conservare l’acqua, il vino e l’aceto.
Nel 1663 divenne la Casa Madre della Confraternita della Perseveranza che fu istituita per assistere i pellegrini che si ammalavano a Roma, alloggiarli nelle locande se poveri e seppellirli in caso di morte.
La previsione della costruzione del monumento funebre per il cardinale Giorgio Spinola, ultimato nel 1744 dallo scultore Bernardino Ludovisi, condizionò in parte la trasformazione interna, con l’adattamento a “sacello” di una campata della navata sinistra.
Tra il 1858 e 1860 il Collegio dei Parroci promosse un restauro generale che interessò sia l’interno che l’esterno della chiesa. Purtroppo, come scrisse il Forcella nel 1876: “In questo restauro sono state distrutte tutte le memorie antiche e deturpate due pitture che risalgono all’epoca della consacrazione della chiesa da parte di Celestino III che rappresentavano la Vergine Maria e S. Giovanni Battista.”
Gli ultimi interventi furono eseguiti nei primi anni del 1900 e sono conseguenti all’assegnazione del tempio al clero romeno. La richiesta fu fatta nel 1913 a Pio X dal vescovo Basilio Hossu. Fu necessario eseguire i lavori per l’adattamento liturgico trasformando il presbiterio per aggiungere l’iconostasi. I lavori furono completati dal vescovo Valerio Traiano Frentiu e il 29 febbraio 1920 avvenne la riconsacrazione ad opera di monsignor Basilio Lucaciu.
Da allora San Salvatore è la chiesa nazionale romena di rito bizantino cattolico.

Fonte: http://www.dinoignani.net/salvatore.html

Comunità greco-cattolica romena in Italia

Il Pontificio Collegio “Pio Romeno”  è stato fondato a Roma nel 1937 per decisione di Papa Pio XI quale spazio di formazione dei sacerdoti della Chiesa Romena Unita a Roma, Greco-Cattolica. Sotto il coordinamento della Congregazione per le Chiese Orientali, il Collegio Pio Romeno è un’ istituzione rappresentativa per le relazioni tra la Romania e la Santa Sede.

Chiese greco-cattoliche romene in Italia:

1. ROMA: “San Salvatore delle Coppelle”

Indirizzo chiesa: Via delle Coppelle

Parroco: P. Daniel P. Vereş

2. BOLOGNA: Parrocchia “Santa Croce”

Indirizzo chiesa: Via del Cestello, 25

Parroco: P. Marinel Mureşan

3. CESENA: Parrocchia “L’Annunciazione”

Indirizzo chiesa: Piazza del Popolo, 1

Parroco: P. Mihai David

4. FAENZA: Parrocchia “San Giorgio”

Indirizzo chiesa: Via Minardi, 2

Parroco: P. Liviu Marian

5. FERRARA: Parrocchia “Santa Chiara”

Indirizzo chiesa: Corso Giuveca, 179

Parroco: Cătălin Pop

6. FORLÌ : Parrocchia “Michele e Gabriele”

Indirizzo chiesa: Via Dei Mille, 28

Parroco: P. Mihai David

7. FOSSALTA DI PIAVE: Parrocchia “San Rocco”

Indirizzo chiesa: Via Campolongo, 1

Parroco: P. Ioan Pop

8. IMOLA: Parrocchia “Dormizione della Vergine”

Indirizzo chiesa: Via Emilia, 40

Parroco: Pr. Tiberiu Sârbu

9. LONIGO: Le funzioni vengono celebrate alla “Chiesa Vecchia”, presso il duomo di Lonigo

Indirizzo chiesa: Piazza Matteotti, 1

Parroco: P. Raimondo-Rudolf Salanschi

10. MANTOVA: parrocchia in formazione

11. PADOVA: Parrocchia “Corpus Domini” (delle Elisabetine)

Indirizzo chiesa: Via Beato Pellegrino, 36

Parroco: P. Aurel-Florian Guţiu

Cappellano: Pop Aetius

12. RECANATI: Parrocchia in formazione .

13. RIMINI: Parrocchia “San Nicola”

Indirizzo chiesa: Via Bonsio, 18

Parroco: P. Cristian Coste

14. UDINE: Parrocchia “Risurrezione del Signore”

Indirizzo chiesa: „San Cristoforo”,:Piazza San Cristoforo, Vicolo Sillia 3/a

Parroco: P. Ioan Mărginean Cociş

16. VENEZIA MESTRE: Parrocchia “San Rocco”

Indirizzo chiesa: Via D. Manin, 39

Parroco: P. Vasile-Alexandru Barbolovici

17. VERONA – PARONA: Parohia “Sf. Cristina”

Indirizzo chiesa: Via S. Cristina, 1

Parroco: P. Radu Mircea Cefan

18. VICENZA: Parrocchia “Santa Maria in Araceli”

Indirizzo chiesa: Piazza Araceli, 20

Parroco: P. Raimondo-Rudolf Salanschi

Per ulteriori particolari consultare il sito internet http://www.bru-italia.eu.

IL CATTOLICO OSSERVANTE PREGA IN GINOCCHIO


Risvegliati, o tu che dormi, e risorgi da’ morti, e Cristo t’ inonderà di luce.” Il cattolico osservante ha tra i suoi principali doveri quotidiani quello di pregare ogni giorno con fede e perseveranza. Attraverso la preghiera, noi chiediamo a Nostro Signore di elargirci le sue grazie, i suoi doni, di far divampare in fuoco quella scintilla divina che così misericordiosamente ha voluto donarci e questo momento così essenziale per la nostra salute eterna abbisogna anche di una postura consona a tali richieste che può essere una sola: in ginocchio. Davanti a Dio l’uomo s’inginocchia, come ricorda San Paolo nella lettera agli Efesini: “Per questo, io piego le ginocchia davanti al Padre” . L’esempio da imitare è quello di Gesù, che non solo ci ha insegnato attraverso le parabole e i santi insegnamenti, ma anche tramite il nobile e umile atteggiamento assunto durante la preghiera, prostrato a Dio Padre: ” E si staccò da loro circa un tiro di sasso e postosi in ginocchio, …… cominciò a pregare…”  Pregare in ginocchio significa tributare a Dio Padre l’onore ed il rispetto dovutoGli, avere fede nella Sua presenza, venerare il Suo mistero, umiliarsi e sottomettersi, pentirsi dei propri peccati ed offrirGli la propria vita e opere.

Sia che nel Nuovo che nell’Antico Testamento, sono molti gli esempi che ci ricordano questo dovere.

Daniele prega in ginocchio nell’esilio; i fratelli di Giuseppe, in Egitto, si prostrano davanti a lui con sentimenti di colpa e di timore; i ventiquattro anziani dell’Apocalisse si prostrano in atteggiamento umile ed adorante davanti a Colui che sta seduto sul trono; Paolo prega in ginocchio nel commiato dai suoi discepoli di Tiro e Mileto; Pietro s’inginocchia e prega prima di risuscitare la donna morta e Stefano, il primo martire, postosi in ginocchio, gridò ad alta voce: Signore, non imputar loro questo peccato. E detto questo si addormentò.

Anche Elia e Daniele, profeti di Dio, pregavano in ginocchio, come nei passi riportati nella Sacra Scrittura:

“Ed Achab risalì per mangiare e bere; ma Elia salì in vetta al Carmel; e, gettatosi a terra, si mise la faccia tra le ginocchia.”

“E quando Daniele seppe che il decreto era firmato, entrò in casa sua; e, tenendo le finestre della sua camera superiore aperte verso Gerusalemme, tre volte al giorno si metteva in ginocchio, pregava e rendeva grazie al suo Dio, come soleva fare per l’addietro.”

Come scriveva San Paolo, verrà il giorno in cui tutti si inginocchieranno davanti a Lui per dargli gloria, la stessa che dobbiamo darGli ogni qualvolta gli offriamo le nostre preghiere: ” …affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto la terra ”.

Se Gesù, i profeti, gli apostoli ed i martiri hanno pregato Dio Padre in ginocchio, tanto più dobbiamo farlo noi, miserabili creature indegne di ogni merito, perchè è nostro dovere amare il Creatore con “tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutta la forza”, compreso il corpo.

Giacinta, Francesco e Lucia ricevettero istruzioni da un angelo nel 1916. L’angelo insegnò loro che il Beatissimo Sacramento era veramente Corpo, Sangue, Anima e Divinità di Gesù Cristo ed i bambini seguirono l’esempio dell’Angelo, che si era prostrato dinanzi al Beatissimo Sacramento, in profondo rispetto ed adorazione: si inginocchiarono.

Se un Angelo s’inginocchia davanti a Dio, se dei Santi s’inginocchiano davanti a Dio, se lo stesso Gesù Cristo si prostra davanti al Padre, cosa mai dunque dovremo fare noi, miserabili creature?

di Giorgio Mastropasqua, pubblicato in http://www.pontifex.roma.it/

ROMA: Pasqua insieme. Tradizioni della Romania in mostra



Museo Pietro Canonica a Villa Borghese dal 12 al 26 aprile 2011

Viale Pietro Canonica (Piazza di Siena), 2 – info: 060608 – http://www.museocanonica.it

€UROITALIA – ROMA, 5 aprile 2011 – Per il secondo anno consecutivo, cattolici e ortodossi celebrano la Pasqua insieme.   All’occasione, l’Accademia di Romania in Roma e il Museo del Contadino Romeno di Bucarest presentano una mostra  dedicata alle uova pasquali, simboli ancestrali delle tradizioni comuni a tutti i cristiani. Oltre 300 uova dipinte, accompagnate da icone su vetro d’ispirazione pasquale e da vari oggetti della tradizione rumena saranno esposti dal 12 al 26 aprile 2011 al Museo Pietro Canonica a Villa Borghese.


Le regioni di provenienza delle uova dipinte e degli altri oggetti d’arte tradizionale esposti sono la Bucovina (Nord-est), Buzău, Vrancea, Bran, Argeş e Vâlcea (Centro-sud) e Banato (Sud-ovest). Durante la mostra un film documentario illustrerà le complesse tecniche di preparazione di questi piccoli capolavori.

Un progetto a cura di Ioana Popescu e Rodica Marinescu (Museo Nazionale del Contadino Romeno, Bucarest), con il patrocinio di Roma Capitale – Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico, con la collaborazione di Progetto Zetema e Musei in Comune.