IMMIGRAZIONE, “PONTI NON MURI”, IL PROGETTO DEL CIR IN 5 PROPOSTE


09/02/2016  Viene presentato oggi, 9 febbraio, a Roma: «È arrivato il momento di dire basta ai soldi ai trafficanti, basta morti in mare e viaggi pericolosi», dice . Ci sono alternative concrete, già sperimentate, per consentire a chi ne ha diritto di arrivare in modo protetto e legale in Europa», dice Christopher Hein, fondatore del Cir e consultore del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti ed Itineranti.

L’anno scorso sono affogati 3.770 uomini, donne e bambini nel Mar Mediterraneo; nel solo gennaio 2016, in un mese in cui tradizionalmente gli sbarchi si fermano per il mare mosso, i morti sono già stati 244. Pericolosa è anche la rotta balcanica: a luglio, quando arrivarono in Grecia 50 mila profughi (perlopiù siriani), si parlò di “flusso straordinario”; a gennaio, nel pieno del freddo che negli passati bloccava i viaggi, gli arrivi sono stati 55 mila.

Quasi tutti hanno diritto alla protezione umanitaria per le leggi europee e internazionali. Del resto, si stima che il 95% di tutti i richiedenti asilo nell’UE sia entrato in maniera irregolare.

La prima famiglia siriana giunta legalmente in Italia, accolta dalla Comunità di Sant'Egidio.

La prima famiglia siriana giunta legalmente in Italia, accolta dalla Comunità di Sant’Egidio.

«È arrivato il momento di dire basta ai soldi ai trafficanti, basta morti in mare e viaggi pericolosi. Ci sono alternative concrete, già sperimentate, per consentire a chi ne ha diritto di arrivare in modo protetto e legale in Europa». A dirlo è il Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), che il 9 febbraio a Roma (Sioi, ore 15.30) presenta “Ponti non muri. Garantire l’accesso alla protezione in Europa”, una pubblicazione finanziata dal Gruppo Unipol.

Cinque le proposte: le sponsorizzazioni umanitarie, i programmi di reinsediamento e quelli  di ammissione umanitaria, i visti umanitari e la possibilità di presentare domanda d’asilo presso le autorità consolari europee nei Paesi di origine e di transito. Ne parliamo con il curatore del testo Christopher Hein, fondatore del Cir e consultore del Pontificio Consiglio per la Pastorale dei Migranti ed Itineranti.

 – Il 4 febbraio è arrivata in Italia la prima famiglia siriana in modo legale. È un primo modello?

«Sì, è un’ottima iniziativa promossa dalla Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e la Tavola Valdese, insieme ai Ministeri degli Esteri e dell’Interno. Riguarderà 1.000 persone, quindi un numero ancora piccolo, ma è un passo nella giusta direzione. Rientra nelle cinque possibilità che indichiamo nella guida: si tratta della sponsorizzazione da parte di privati, siano associazioni come Sant’Egidio o familiari residenti nel Paese di arrivo, che si impegnano a coprire le spese del viaggio e, per un determinato periodo (in Canada è un anno), del mantenimento del profugo invitato, dell’insegnamento della lingua e del suo inserimento sociale. Grazie a questa misura, in Germania 20 mila siriani si sono ricongiunti con i loro familiari e amici. In Canada, invece, ci sono associazioni, sindacati, parrocchie, circoli culturali, o addirittura condomini, che si uniscono e sponsorizzano una o più famiglie, seguendone poi il percorso di accoglienza. Questa è una delle alternative ai barconi; a nostro avviso l’Europa e l’Italia dovrebbero prevedere tutte e cinque le opzioni».

Yasmine e Falak, madre e figlia della famiglia siriana giunta in Italia il 4 febbraio.

Yasmine e Falak, madre e figlia della famiglia siriana giunta in Italia il 4 febbraio.

 – Qual è la seconda misura che proponete?

«Il reinsediamento, in collaborazione con l’Unhcr delle Nazioni Unite. Consiste nel trasferimento (in modo regolare) dei profughi dal Paese di transito a un altro Stato che ha acconsentito ad accoglierli e offrire loro protezione.Concretamente vuol dire trasferire i siriani, a cui viene riconosciuto lo status di rifugiati,dal Libano, Giordania, Turchia, Egitto, Iraq (sono i Paesi dove si trova il 95% dei profughi), o gli eritrei dalle megatendopoli del Kenya e dell’Etiopia. Il reinsediamento è già stato praticato, seppur in numero esiguo: nel 2014 solo 7.268 rifugiati sono stati reinsediati nel Vecchio continente, mentre gli Stati Uniti hanno fatto lo stesso per 73.011 persone, l’Australia per 11.570 e il Canada per 12.277. I Paesi europei che vi hanno aderito sono stati solo dieci, ricevendo un contributo tra i 6 e i 10 mila euro per ogni rifugiato; l’Italia ha partecipato con 450 siriani e 50 eritrei».

 – La terza modalità sono i Programmi di Ammissione Umanitaria.

«Sì, è l’opzione proposta dalla Germania per i siriani quest’estate. La modalità è analoga al reinsediamento, ma con una differenza sostanziale: non viene concesso l’asilo politico, ma una protezione temporanea sulla base di motivazioni umanitarie; vengono privilegiate persone vulnerabili, a cui viene garantito un permesso di soggiorno di breve durata, il cui rinnovo è subordinato al perpetuarsi delle necessità di protezione. Oltre ai 20 mila giunti con le sponsorizzazioni private, con questo programma il Governo tedesco ha fatto arrivare ulteriori 20 mila siriani nel 2013-14. Anche qui il problema sono i numeri: con tutti i 28 Stati dell’UE più la Norvegia e la Svizzera, si arriva a 30 mila, compresi i 20 mila in Germana, 500 in Gran Bretagna, 1.500 in Austria. Riguarda solo siriani e in alcuni casi eritrei, ma ad esempio non somali o afghani, nazionalità molto presenti tra i profughi».

 – La quarta e quinta opzione hanno una differenza importante rispetto alle prime…

«Sì, per rientrare nei primi tre programmi si deve essere selezionati, mentre queste due sono alternative senza quote fisse. La prima è la possibilità di chiedere un visto umanitario presso le autorità consolari europee nei Paesi di origine e di transito. Teoricamente questa possibilità è già prevista, ma nella pratica non esiste, o comunque viene applicata nella totale discrezionalità del singolo consolato o Stato. Prendiamo il caso di una donna eritrea perseguitata dalla dittatura di Afewerki: con questa modalità, anziché dover prendere il barcone tramite i trafficanti e fare domanda di asilo una volta giunta in Europa, potrebbe chiedere un visto in un consolato ad Asmara, oppure in Kenya, in Etiopia, o al Cairo. Qualora abbia risposta positiva, potrebbe poi arrivare legalmente in Europa e completare i documenti.La quinta opzione sono le Procedure di Ingresso Protetto (Pep): la modalità è la stessa della precedente, ma, anziché il visto umanitario, si chiede l’asilo politico. In questo modo il richiedente giunge in Europa solamente se ha ottenuto la protezione internazionale. In passato, vari Stati (Svizzera, Spagna) prevedevano questa opportunità, ma poi l’hanno ritirata perché erano gli unici a offrirla e questo accentrava tutte le richieste su di loro. Recentemente la Svizzera ha detto di essere disposta a riaprire tale possibilità, qualora sia condivisa con altri consolati europei. Infine, si noti che modalità come queste garantiscono maggior sicurezza e un controllo reale su chi entra in Europa».

 – Come si pone l’Agenda Europea sull’immigrazione rispetto a queste cinque modalità?

«Prevedeva, per la fine 2015, un programma sperimentale di reinsediamento in Niger, che ad oggi non è stato realizzato. Invece, il reinsediamento deciso a ottobre attraverso gli hotspot riguarda solo i profughi già sbarcati in Grecia e in Italia, non incidendo quindi sulle morti nel Mediterraneo e sugli affari dei trafficanti. Tuttavia è un miglioramento della situazione, pur avendodue grossi limiti: non tiene conto dei legami con parenti o conoscenti per decidere in quale Paese reinsediare il profugo e considera solamente eritrei, siriani, iracheni e centrafricani. A parte i primi, non sono le nazionalità principali di chi arriva in Italia. In ogni caso, anche questo programma fatica a essere messo in pratica: riguarda 160 mila profughi in due anni, ma oggi sono stati reinsediate solo 350 persone tra Grecia e Italia».

Fonte: http://www.famigliacristiana.it/ di Stefano Pasta

ROMA CAPITALE DEI SERVIZI AI MIGRANTI


Ufficio Immigrazione, Ufficio detenuti ed ex detenuti, La Fabbrica dei Mestieri per romeni e zingari, Programma RETIS

Ufficio Immigrazione

Servizi alle Popolazioni migranti e Inclusione sociale – Dipartimento Promozione dei Servizi Sociali e della Salute

L’Ufficio Immigrazione fornisce servizi socio-assistenziali anche a carattere residenziale e di inserimento socio-lavorativo per i cittadini immigrati, richiedenti asilo e rifugiati. Inoltre eroga contributi per gli emigrati italiani rimpatriati dall’estero.

Accoglienza immigrati, richiedenti asilo e rifugiati. L’Ufficio gestisce 22 Centri di accoglienza del Privato Sociale convenzionati con l’Amministrazione comunale.

Come si accede. La richiesta per accedere alle strutture di accoglienza va presentata presso l’Ufficio Immigrazione. E’ necessario essere in possesso di regolare permesso di soggiorno per richiesta di asilo o per lavoro.

Accoglienza minori immigrati e italiani. L’Ufficio gestisce 22 Centri Interculturali per minori in fascia di età 0-6 anni e 6-18 anni del Privato Sociale convenzionati con l’Amministrazione comunale. Possono accedere tutti i minori immigrati e italiani residenti sul territorio cittadino.

Mediazione culturale. Per facilitare le relazioni tra cittadini immigrati e servizi dell’Amministrazione comunale, l’Ufficio, in convenzione con organismi del privato sociale, gestisce un servizio di mediazione interculturale.

Emigrati italiani. L’Ufficio fornisce assistenza economica agli italiani rimpatriati dall’estero.

Per informazioni:
Centro Cittadino per le Migrazioni, l’Asilo e l’Integrazione Sociale – Ufficio Immigrazione
Via Assisi, 39A – Roma
Apertura al Pubblico: lunedì e giovedì dalle 9,00 alle 11,00; mercoledì dalle 15,00 alle 17,00

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EUROITALIA News – 05.01.2011/05


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I titoli del 5.01.’11:

– COSENZA: AL VIA IL PROGETTO “IO E GLI ALTRI”.

– NAPOLI:WEBTV PUBBLICA CON TELEGIORNALE IN LINGUA PER STRANIERI

– ITALIA: IMPRENDITORI IMMIGRATI IN SALITA AL +9,2%. IN CALO GLI ITALIANI DELL’1,2%

– TRA IMMIGRAZIONE E RAZZISMO

– BULGARIA/ ANNO NUOVO, NUOVA TROVATA PER CHI NON PAGA LE TASSE: LA "SERENATA" FISCALE

 

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EUROITALIA News – 04.1.2011/04


I titoli:

DECRETO FLUSSI 2010 E PIANO PER L’INTEGRAZIONE “IDENTITÀ E INCONTRO” NELL’INTERVISTA DI IMMIGRAZIONE OGGI A NATALE FORLANI

ARMENI IN ITALIA: PRANZO NATALIZIO ARMENO APOSTOLICO E I PROGRAMMI DELLA CASA ARMENA A MILANO

SHENORAAVOR NOR DARI YEV PARI GAGHAND! (Auguri in armeno)

INTERCULTURA: RIPARTE LA STAGIONE TEATRALE DEDICATA AL TEATRO INTERCULTURALE “I TEATRI DI BABELE”

DOPO SCONTRO CON LA POLIZIA EGIZIANA, I TRAFFICANTI DI RAFAH INTRODUCONO UN ALTRO GRUPPO DI MIGRANTI IN ISRAELE

UN ANNO FA LA RIVOLTA, ROSARNO TORNA A NORMALITÀ

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Eugenio Coseriu, emigrante per intraprendenza*


 

L’originalità del pensiero linguistico di Eugenio Coseriu, si sa, consiste nell’aver ripercorso sistematicamente tutta la storia del pensiero linguistico europeo sulla convinzione che la linguistica non può esistere che all’interno delle scienze della cultura. Per riuscire in questo, lo studioso romeno ha adottato alcuni principi, fondamentali per ogni “uomo di scienza”1, che lo hanno guidato con successo nella sua attività di ricerca sul linguaggio. Il primo è il principio dell’obiettività, cioè, “dire le cose come sono” (τά ΄όντα ώς έ̀στιν λέγειν, dal Sophista di Platone)2; il secondo, il principio del “sapere originario”, cioè, il “sapere intuitivo” del parlante (adottato già a partire dal 1954 in “Forma e Sostanza”3), questo principio contraddistingue lo studio del linguaggio, il quale ammette di trasporre il sapere intuitivo del parlante sul piano della riflessività, di un sapere fondato e giustificato4; il terzo principio, della “tradizione e novità”5, attraverso cui cerca di vedere sempre la parte positiva di ogni uomo, affermazione o idea; il quarto principio, dell’“antidogmatismo”6, che ha guidato l’attività ermeneutica e critica di Coseriu e gli ha permesso di confrontarsi con Saussure, Hjelmslev, Pagliaro, ed altri, senza assumerli in totalità; il quinto principio, della “responsabilità”, ovvero dell’etica civica, perché il linguaggio è di tutti i parlanti, non solo dei linguisti7.

Ma prima dello studioso con i suoi principi guida, c’è l’uomo Coseriu con i suoi principi, che sono quelli della “morale universale”, sia nella vita privata che nella vita pubblica, e per il linguista romeno ciò significa avere sempre fiducia nell’altro, in ogni uomo, oltre che in te stesso, e cercare di capire ognuno dal proprio punto di vista e sopratutto non rispondere al male ricevuto con il male, in quanto “l’odio non può essere un principio di vita”.8

 

Eugenio Coseriu può senza dubbio essere considerato un promotore della “scienza del buon vivere”, nel senso indicato da Domenico De Masi; lo studioso di Tübingen rappresenta, in effetti, tutto ciò che contraddistingue un’“emigrante per intraprendenza” da un “emigrante per disperazione”. Più di ogni altro, il linguista romeno ha portato con sé “i valori e la voglia di scoprire” e di dare, di donare.9 Partito dalla sua terra natale “con il piede giusto”, “spinto dalla voglia di scoperta rischio e lotta”, come per un’avventura – che si rivelerà poi entusiasmante – verso un mondo che lo ha lusingato, il viaggio di Coseriu nel mondo delle scienze umane e della conoscenza è più unico che raro. Arrivato in Italia, non ancora ventenne, il nostro non poteva permettersi la nostalgia e la resa, perché il bisogno di “universalità” era troppo forte in lui. Proprio l’Università di Roma gli darà li strumenti per una visione chiara, obiettiva ed universale sull’uomo in generale e sulle attività umane, in particolare. Era partito, come milioni di persone ogni anno, anche oggi, in cerca di altro. Come qualsiasi “emigrante per intraprendenza”, Coseriu, accanto al rancore verso la terra natale, si portò dentro anche un piano di sviluppo che pretese di realizzare in nome della giustizia, del merito e del coraggio.10

Ricordiamo, prima di concludere, l’ultima conferenza di Eugenio Coseriu, una straordinaria lezione sulla sua “filosofia del linguaggio”, tenuta proprio alla nostra Università nel 2002, che ebbi l’opportunità di registrare11. Pochi mesi più tardi, precisamente il 7 settembre 2002, il professore moriva a Tübingen, dopo una difficile malattia.

È ancora vivo in me il ricordo del giorno della conferenza; ero molto emozionata e volevo immortalare quel momento e conservare immagini e parole di Coseriu. Con l’aiuto di mio fratello, ho registrato la conferenza dall’inizio alla fine. Riporto qui di seguito le parole di inizio pronunciate dal linguista romeno, in quell’occasione, sulla sua concezione di filosofia del linguaggio: “una passeggiata nella storia della filosofia del linguaggio”.

 

Carissimi studenti e studiosi, Vorrei incominciare con una specie di scherzo, pensando a Croce, che nel suo Breviario di Estetica, a proposito dell’arte, dice: “Che cos’è l’arte? L’arte è quella cosa che tutti sanno cos’è…”. Io non posso dire la stessa cosa della filosofia del linguaggio, però potrei dirlo a proposito del linguaggio, nel senso che tutti sanno cos’è. Tutti intuitivamente sappiamo cos’è il linguaggio. Presentando la filosofia del linguaggio parliamo sempre di un dover essere o “sein sollen”, come dice Hegel. […] Prima di tutto, cosa intendiamo per filosofia? La strada migliore è quella intrapresa da John Dewey12: “è un tipo di scienza in cui domandarsi quale sia l’oggetto della domanda, e quale sia lo scopo, la finalità – cosa si aspetta come risposta – della domanda che si fa.”13

Il 29 aprile prossimo uscirà nelle librerie uno dei libri più attesi di Coseriu, in italiano, La Storia della filosofia del linguaggio14, curato dalla professoressa Donatella Di Cesare; il volume è il risultato di una serie di lezioni tenute a partire dal 1968, in cui, “dopo una parte introduttiva volta a legittimare la domanda filosofica sul linguaggio, Coseriu accompagna il lettore in un’esplorazione affascinante, che comincia nella Grecia di Platone per terminare nella Francia di Rousseau”15.

Per molti giovani, e meno giovani, Coseriu potrebbe rappresentare un vero modello da vivere e a cui attingere ancora oggi, tanto più quanto nella società attuale viviamo una crisi, sopratutto, culturale, di identità e dei valori oltre che di mancanza di “guide”.

Una domanda sorge spontanea: un giovane romeno, sarebbe potuto diventare il “gigante di Tübingen”1, ossia uno dei massimi filosofi e teorici del linguaggio del Novecento, se non fosse emigrato? Avrebbe egli potuto esprimersi pienamente e realizzare se stesso, come a noi risulta, se non avesse cambiato Paese?

Coseriu, che era partito per motivi di studi, non solo per l’Italia, che sarebbe diventata per lui come una seconda Patria, ma ha girato diversi altri Paesi e Continenti del mondo, è una risorsa inestinguibile per gli appassionati di linguistica di ogni angolo della terra. La condizione di “emigrato” dello studioso romeno ha certamente influito sulla formazione del suo pensiero e sulle sue teorie sul linguaggio; il suo esempio come studioso e come “maestro di pensiero” ci conferma proprio quanto sostiene uno dei massimi sociologi contemporanei, De Masi, e cioè, che “il lato bello dell’emigrazione consiste nella possibilità di concretizzare piani irrealizzabili nella terra di origine, venendo a contatto con persone e luoghi inconsueti, capaci di alimentare la creatività con punti di vista differenti.1

La straordinaria esperienza di Coseriu “migrante”, non meno priva di difficoltà di tante altre persone, è, a nostro avviso, più che significativa ai fini della crescita personale e della formazione delle giovani e future generazioni, dal momento che è dal confronto delle idee e dal dialogo con l’altro che si produce cultura.

Note

1Cfr. DE MASI, Domenico (2009): “La scienza del buon vivere”, articolo pubblicato su Style Magazine, (Mensile del Corriere della Sera), n° 12, dicembre 2009, pp.19-20.

 

1Definito così da Borcilă M., in Cuvînt înainte, Coseriu E., Introducere in lingvistică; trad. de Elena Ardeleanu şi Eugenia Bojoga; Ed. a I-a. – Cluj-Napoca: Echinox, 1994; Ed. a 2-a, 1999, p.7; d’ora in poi, IL=1994 (1999).

1LI-1996, p.115**

2Vedi LI-1996, p. 121

3N° 14.

4LI-1996, p. 15 e pp. 115-130. Cfr. anche G.W. Leibniz, Meditationes de cognitione, veritate et ideis, 1684 e Nouveaux Essais sur l’entendement humain, 1693-1703 (1765).

5LI-1996, p. 117 e succ.

6LI-1996, pp. 118-121

7LI-1996, p. 130.

8LI-1996, pp. 115-116

9Vedi D. De Masi, op.cit. nell’Introduzione.

10Ibidem.

11“Che cos’è la Filosofia del linguaggio?”, LUMSA, Roma, 9 aprile 2002.

12 Cfr. LI-2006, p. 125 (N.d.R.)

13Frammento tratto dalla registrazione (archivio personale) della conferenza di Eugenio Coseriu, vedi sopra, nota 11.

14N° E11.

15 Descrizione anticipata dall’editore.

* Frammenti tratti dalla tesi di laurea, dal titolo “Il pensiero linguistico di Eugenio Coseriu”, di Simona C. Farcas (Corso di laurea in lingua e cultura italiana in prospettiva internazionale – Facoltà di Lettere e Filosofia – LUMSA, Roma).

** LI-1996 = Lingvistica Integrală, Interviu cu Eugeniu Coseriu realizat de N. Saramandu, Ed. Fundaţiei Culturale Române, Bucureşti, 1996.

“Che cosa c’entra l’aborto con i rumeni violenti?”


“Si agita qualcosa di diverso e particolare nelle nostre società frantumate e interconnesse. Si agita lo spettro dell’istinto disumano, il facile precipitare nelle zone tenebrose della non ragione. E questo ovunque e a qualunque latitudine.” Donatella Papi

Quando ho letto l’articolo di Lucetta Scaraffia “Che cosa c’entra l’aborto con i rumeni violenti?” su Il Riformista, pubblicato il 5 febbr. 2009, mi sono sentita male. Ma non per le cose lette nell’articolo, bensì per il termine “Prof.”… di Storia Contemporanea alla Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Roma La Sapienza. Sì, ho avuto un mancamento.
Mi permetto di ricopiare per intero il suo articolo, anche se non meriterebbe attenzione; lo faccio perché aggiungerò tutte le risposte degli intelettuali italiani e romeni, politici e così via, a quest’articolo. Non mi sento neanche sfiorata dalle sue parole, mi fa paura solo il fatto che essa sia una “docente universitaria”.

No, non sono rassicuranti le facce dei giovani rumeni violentatori, e fanno venir voglia di tirar conclusioni pericolose, come pensare che tutti i rumeni sono dei potenziali violenti. Anche se tutti noi, ormai, abbiamo conosciuto rumeni pacifici e lavoratori, persone per bene che sopportano con dignità e speranza la loro difficile situazione di emigrati. Ma sono occhi che fanno capire molte cose: vi ho trovato il vuoto, il gelo, la povertà umana che ho sentito in un recente viaggio in Romania. Non è che si tratti di un brutto Paese, né di un Paese privo di testimonianze artistiche pregevoli: la questione è un’altra, e riguarda l’atmosfera complessiva che vi si respira, un’atmosfera di disumanizzazione.

Certo, la povertà è ancora forte ed evidente, ma non somiglia alla povertà calda e viva del Terzo mondo, dove vita e colori testimoniano la volontà di esistere e di sperare nonostante tutto. Quello che stupisce è l’assenza di spirito vitale, di voglia di fare e di abbellire il mondo: pur essendo a maggio, non ho visto un fiore nella terra che circonda le casette allineate lungo la strada in molte regioni del Paese, non ho sentito una volta il profumo di pane appena sfornato. Un paese dove, quasi vent’anni dopo la fine del comunismo, il pane è ancora cotto in forni centralizzati – e poi distribuito nei negozi e supermercati in buste di plastica che lo rendono spugnoso e cattivo, uguali per tutti e dovunque – pone dei drammatici interrogativi.

Perché non c’è stato un risveglio di energie, di vitalità, alla fine della terribile dittatura che l’ha angariato per decenni? Perché i rumeni preferiscono emigrare – e poi magari riempirsi di ostilità dei ricchi abitanti degli altri Paesi europei – invece di ricostituire il loro Paese? Forse perché non è solo povero, ma disperato. Il comunismo di Ceausescu ne ha ucciso l’anima: tutti sospettavano di tutti, ogni legame umano è stato dissolto, ogni iniziativa mortificata, ogni possibilità di ribellione estirpata. In Romania si vedono ancora le tracce di un male capace di distruggere tutto, e di durare nel tempo, di contagiare ogni realtà: perfino i rapporti fra le religioni presenti nel Paese ne sono stati a tal punto avvelenati, che ancora oggi un profondo rancore le divide e ostacola la loro rinascita.

Se uno ha ancora dubbi su cosa sia stato il comunismo, un viaggio nelle campagne rumene costituisce senza dubbio l’occasione per aprire gli occhi definitivamente. Ma tutto questo non vuol dire, come ha scritto Ceronetti sulla Stampa di lunedì, che la violenza degli stupratori si spiegherebbe con il fatto che «si tratta di figli di ventri forzati a partorire da Ceausescu sotto stretta sorveglianza antiabortista della Securitate, cresciuti in condizioni prossime a randagismo canino».

Non è certo il caso di mettere in dubbio la dura repressione dell’aborto da parte del dittatore – del resto magistralmente raccontato nel bellissimo film del regista rumeno Cristian Mungiu, nel 2007 Palma d’oro a Cannes – ma non è certo questo il suo più grave delitto, né la causa di tutti i mali. Non è detto che i figli nati “non desiderati” siano per forza peggiori di desiderati, e tanto meno che siano condannati al randagismo. La cattiveria umana non ha alcuna remora a presentarsi anche nei figli di buona famiglia, figli sicuramente “desiderati” e viziati: basti pensare ai giovani italiani che hanno dato fuoco all’indiano, poche notti fa. Stupisce che un raffinato intellettuale come Ceronetti si sia rifatto al luogo comune rappresentato dall’utopia del figlio desiderato, che pensi sul serio che i “figli desiderati” sono davvero buoni e felici, e che quelli nati per caso sono delinquenti. Ceronetti nel suo pessimismo, non può ignorare come il male appartenga a tutti gli esseri umani, e che solo una vera educazione al bene e solo una società che sa punire e premiare possono indirizzare i giovani e aiutarli a sfuggirlo. Non può non sapere che i giovanissimi di Trento che hanno fatto ubriacare e poi violentato una loro compagna di scuola sono figli desiderati, ma male amati e male educati.

I recenti casi di cronaca nera fanno capire come il vuoto morale, l’irresponsabilità e la mancanza assoluta di speranza possono accecare tutti: sia gli immigrati rumeni educati in un contesto atroce, in cui forse non hanno mai sentito un parola umana, sia i nostri ragazzi, viziati e accontentati in tutti loro desideri e che, incapaci di sfuggire al vuoto e alla noia delle loro vite, lasciano via libera agli istinti più crudeli. Sono due tipi di vuoto diverso, certo, ma che portano alla fine agli stessi risultati. Prima di dare ogni colpa all’immigrazione, prima di pensare che ogni problema può essere risolto cacciando rumeni o marocchini, dobbiamo guardare a cosa sono diventati i ragazzi italiani.

La Lega Nord e il ‘Riformista’ attaccano governo e il popolo di Romania

Fini: odiosa l’associazione “immigrati uguale criminali”

Romeni: Frattini; no alla sospensione di Schengen se la Romania si riprende i suoi criminali


Urmare a jignirilor la adresa Romaniei, din cotidianul „Il Riformista”, Dan Voiculescu ii invita pe jurnalistii italieni sa cunoasca Romania